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Solo per vendetta

Drammatico - Titolo Originale: Seeking Justice - Interpreti: Nicolas Cage, January Jones, Guy Pierce - Regia di Roger Donaldson - USA - 2011 - Giudizio: 3/5

 

Will Gerard (Nicolas Cage) è un insegnante d’inglese la cui vita viene sconvolta quando la moglie Laura (January Jones) viene violentemente aggredita senza un apparente motivo. Mentre osserva sua moglie nel letto d’ospedale, si avvicina Simon, un perfetto sconosciuto che propone a Will la possibilità di vendicare sua moglie. Potrebbe aspettare che la polizia trovi il colpevole, lo arresti e lo metta nella mani della giustizia. Oppure, potrebbe affidarsi a Simon e ai suoi ‘amici’ che troverebbero il colpevole e lo giustizierebbero entro l’alba del giorno dopo. Emotivamente provato, Will accetta l’offerta, ma scoprirà presto che ogni cosa ha un prezzo e che il conto da pagare sarà più che salato, ritrovandosi in una serie di eventi che lo porteranno a perdere totalmente il controllo della sua vita, scoprirà quanto potente e ramificata sia l'organizzazione.

Non è un tardo remake de Il giustiziere della notte, questo film il cui titolo originale rende meglio il senso stesso della vicenda. Seeking justice, ossia ricercando la giustizia, rende meglio la vicenda di un uomo che non prende semplicemente la pistola e comincia a sparare per rimediare al torto subito. Se le ragioni del marketing ve lo fanno passare per "il solito action con Nicolas Cage, sappiate che potreste rimanere delusi. Non perché Cage brilli, come sempre d'altra parte, per capacità e versatilità recitativa, ma perché il fuoco della vicenda è incentrato su cosa realmente significhi perseguire la giustizia "fai da te", in un paese dove comprare un'arma è fin troppo facile.

Non mancano vibranti sequenze di azione, e momenti di tensione, ma sono il giusto tributo all'intrattenimento cinematografico. Qualche riflessione il film la darà. Donaldson dirige con competenza il film bloccando sul nascere le gigionerie di Cage, e dando risalto alla bellezza e alla bravura di January Jones. Guy Pierce è tenebroso e tormentato quanto basta. La miscela funziona.

L'ambientazione è un'altra importante protagonista. E' New Orleans, con le sue ferite, la sua voglia di andare avanti, non una qualunque città statunitense. La crepuscolare fotografia di David Tattersall le rende piena giustizia.

 

 

Film: Capitan America - Il primo vendicatore

Supereroi, Captain America: The First Avenger, USA, 2011 - regia di Joe Johnston - scritto da Cristopher Markus , Stephen McFeely - con Chris Evans, Hugo Weaving, Hayley Atwell, Tommy Lee Jones, Stanley Tucci, Dominic Cooper, Sebastian Stan, Toby Jones - durata: 124 minuti - distribuito da Universal Pictures - giudizio: ***

Il Capitano è arrivato. L'Universo Marvel al cinema ha adesso il suo leader, “l'uomo che può dare ordini a un dio”, e lo farà nel prossimo film sui Vendicatori.

Ma per quello bisognerà aspettare quasi un anno. Nel frattempo possiamo goderci questo film diretto con mestiere da Joe Johnston, con un risultato che va oltre la dignitosa messa in scena, riuscendo ad essere uno spettacolo compiuto, con parti anche divertenti, inseguimenti e scene d'azione ben coreografate.

La trama è ormai nota. Siamo nel 1942, in piena Seconda Guerra Mondiale. Il debole ragazzo di Brooklyn Steve Rogers vuole a tutti costi dare il suo contributo arruolandosi. Ma la sua gracilità non lo rende idoneo al servizio. Come ogni eroe destinato alla grandezza ha perso entrambi i genitori, a all'inizio della sua parabola incontra un mentore, che in questo caso è il Prof. Abraham Erskine, che gli propone di servire il suo paese in un modo diverso, arruolandolo nel programma Rinascita, orientato alla creazione di un super soldato mediante l'uso di tecnologie avanzate.

Siamo nel 1942, ma non nel “nostro” tempo. E' un punto da chiarire subito. E' un mondo ucronico e alternativo, nel quale non solo sono presenti manufatti di grande potere, ma anche capacità tecnologiche superiori. Erskine era stato infatti costretto a lavorare a un progetto simile in Germania, che aveva generato una versione malvagia del super Soldato, Johan Schimdt alias il Teschio Rosso, messo da Hitler a capo dell'Hydra, una divisione specializzata in tecnologie avanzate, coadiuvato dallo scienziato Armin Zola.

Anche negli USA esiste però una divisione simile, chiamata SSR, al cui comando c'è il Colonnello Chester Philips. C'è anche uno scienziato specializzato in tecnologie avanzate, Howard Stark, che sappiamo essere il padre di Tony, non ancora nato e futuro Iron Man.

Dopo aver superato la diffidenza di Philips, Erskine sceglierà, per le sue qualità morali, proprio Steve come suo candidato proprio Steve, sottoponendolo all'esperimento che lo renderà non un superuomo, ma un uomo al massimo delle potenzialità fisiche.

Com'è prassi il mentore morirà, ucciso da una spia dell'Hydra, portandosi nella tomba il segreto della formula del Super Soldato, rendendo Steve l'unico esemplare di questa genia.

Da qui a diventare Capitan America ne passerà un po'. Ci sono dei passaggi intermedi che sono il vero momento gustoso del film, quando non succede subito quello che ci si aspetta. Non vorrei dire molto, per non spoilerare. Il momento centrale non allunga inutilmente il brodo, ma è quello che fa la differenza tra un film di pura azione decerebrata e un film che all'azione mescola una adeguata struttura narrativa atta a giustificare con coerenza la crescita del personaggio.

Intrattenimento, ma ben fatto insomma. Ma non temete per il Capitano. Andrà incontro al suo destino, fatto di battaglie, di trionfi, ma anche di lutti. Chi conosce il fumetto sa che il nome Bucky non porta fortuna.

Fermandosi un attimo a valutare la struttura narrativa, analizzando gli schieramenti contrapposti se il Capitano ha a sua disposizione Howard Stark, e il Teschio Armin Zola, quello che fa la differenza tra i due è la loro capacità carismatica e attrattiva e il cast di alleati. Il Teschio Rosso ha un esercito spersonalizzato, di uomini senza volto dietro a una maschera, il Capitano può contare sul burbero Philips, che alla fine si rivelerà il classico pezzo di pane, sull'amore di Peggy Carter, sull'amicizia di Bucky, che “non segue il Capitano, ma il ragazzo di Brooklyn”, sulla devozione degli Howling Commandos, che tutto sono fuorché uniformati a una massa, hanno tutti un volto, un nome, e persino divise diverse. Il trionfo del Capitano è quindi quello dell'uomo, più che dell'eroe.

 

Lo spessore del cast aiuta a ben caratterizzare questa differenza. Tommy Lee Jones è convincente, Hayley Atwell non è solo bella ma anche molto brava e sono tutti ben calati nella parte Sebastian Stan (Bucky) e i vari membri del commando. Non che Hugo Weaving non faccia il suo dovere, ma Tobey Jones gli ruba la scena stavolta perché stavolta, dopo le prime sequenza “mascherato” da uomo, Weaving non riesce a uscire dalla maschera del Teschio, forse anche per colpa di una sceneggiatura che ha la sua unica grossa pecca proprio nella frettolosa definizione di Johann Schmidt. Neanche di Armin Zola sappiamo molto, ma l'eccezionale versatilità di Jones (che ricordo come uno strepitoso Truman Capote in Infamous), dona al personaggio una presenza scenica superiore nonostante la sua minore fisicità.

Che dire di Chris Evans? E' ben calato nella parte ma ha i suoi oggettivi limiti. Ha il fisico del ruolo e stavolta è diretto meglio che in Fantastici Quattro, ma temo che appena sarà accanto a Robert Downey JR. verrà eclissato. Peccato perché nei fumetti il vero leader carismatico è Steve Rogers, non Tony Stark. Vedremo cosa riuscirà a fare Joss Whedon.

A proposito di Stark, Dominic Cooper, l'attore chiamato a interpretare il padre di Tony da giovane, fa bene il suo lavoro, ma è da denuncia l'idea di renderlo quasi un clone di R. Downey Jr.. Spiacenti, sarebbe stato meglio differenziare i personaggi.

 

Sotto l'aspetto tecnico nulla da eccepire. Una ottima ricostruzione d'ambiente per quanto posso capire, con degli anni '40 nei quali però gli anacronismi hanno un senso logico, viste le premesse iniziali. Sono gli anni '40 del Marvel Universe, lo ripeto.

Effetti speciali veri e credibili, con un 3D che oscura il lavoro di fotografia di Shelly Johnson, che però non ha pretese artistiche. Dimenticatevi la sgranata fotografia del Soldato Ryan insomma.

Sono indeciso se considerarlo inutile o non invasivo il ruolo della terza dimensione. Non è infatti necessario che gli oggetti ci vengano contro per considerare “utile” il 3D, ma che restituisca una impressione di tangibilità dello spettacolo che si ha davanti. E questa sensazione talvolta si prova, non sempre è così palese, come per esempio per gli ottimi titoli di coda, dove le belle immagini stile manifesto propagandistico sembrano quasi afferrabili.

 

Buono è il lavoro sulla colonna sonora di Alan Silvestri, con una canzone che resta impressa per più qualche minuto dopo la proiezione, anche se manca un “tema” del Capitano che sia memorizzabile e distinguibile per essere considerata ottima. In effetti c'è da notare che dopo Spider-Man, sembra sia tramontata l'idea del tema riconoscibile sin dalle prime battute. Saranno forse cambiati i tempi, ma se dopo tanti anni basta sentire poche note per evocare Superman, Batman, l'Uomo Ragno, Darth Vader o Ritorno al Futuro (giusto per citare una memorabile prova di Silvestri), l'idea di tornare a questo modo di concepire la colonna sonora non è da scartare.

 

 

Piccola curiosità, ho atteso in sala fino alla fine dei titoli di coda, ma la scenetta di raccordo stavolta non c'è stata. Non so dire se nella versione che ho visto, in originale con sottotitoli, tale scena sia stata montata prima dei titoli di coda oppure sia stata semplicemente tagliata. Spero di no.

Quando rivedrò il film in italiano, nella versione ufficialmente distribuita saprò se i Marvel Studios hanno interrotto questa tutto sommato simpatica tradizione.

In conclusione lo spettacolo e il divertimento sono comunque garantiti con Capitan America: Il primo vendicatore.

In ogni caso, anche senza scenetta finale, dopo i titoli di coda ci viene fatta una promessa ben precisa: Capitan America tornerà in The Avengers.

Recensione pubblicata anche su Fantasy Magazine.

 

i love radio rock

Film: I love Radio Rock

i love radio rock

i love radio rock

Un film di Richard Curtis. Con Philip Seymour Hoffman, Bill Nighy, Rhys Ifans, Nick Frost, Kenneth Branagh.
Tom Sturridge, Chris ODowd, Rhys Darby, Katherine Parkinson, Talulah Riley, Ralph Brown, Sinead Matthews, Emma Thompson, Gemma Arterton, January Jones, Tom Wisdom, Jack Davenport

Titolo originale The Boat That Rocked. Commedia, durata 135 min. - Gran Bretagna, Germania 2009. -

È uscito da un po', e neanche so se è ancora in giro in Italia. Ricordo che il primo giorno di programmazione non sono riuscito a vederlo. Alle 22 erano già esauriti i biglietti. Il giorno dopo la sala era semivuota.
Misteri del passaparola. Non so. A dire la verità il film non ha poi incassato molto. A tutt'oggi 553 mila euro.
Un insuccesso immeritato a mio personale giudizio.
I Love radio rock narra la storia di Carl, un diciottenne espulso dalla scuola, che viene affidato dalla madre alle amorevoli cure di Quentin (uno strepitoso Bill Nighy), che dirige una "radio pirata", che trasmette da una barca in pieno Mare del Nord. La storia è ambientata negli anni 60, quando ancora le radio private erano illegali.
L'idea che si possa "raddrizzare" un giovane turbolento affidandolo a una ciurma di sregolati, dediti a sesso, droga e rock'n roll, quali sono i vari conduttori della programmazione della radio è una contraddizione in termini.
Il pantheon di personaggi è ricco, il deejay (ma non si chiamavano ancora così) di punta della radio, "Il conte" è interpretato da un brillante Philip Seymour Hoffmann, sicuramente bene in parte. Ho già detto bene di Bill Nighy, ma ottimo è anche l'interprete del giovane Carl, Tom Sturridge.
Non c'è solo la storia di formazione nel film, ossia l'educazione sentimentale e alle cose della vita di Carl, ma cè anche lo sfondo sociale. Le radio private sono illegali, ma tutto sommato tollerate. Finché il bigotto  ministro Dormandy non decide di intraprendere una personale crociata contro di esse, nel nome di una presunta moralizzazione dei costumi. Il suo "agente speciale", Twatt, cercherà ogni pretesto per mettere le radio fuorilegge, arrivando persino a spiare a bordo della nave.
Il ministro e l'attachè sono interpretati rispettivamente da un ottimo Kenneth Branagh e un esilarante, proprio perché bolso, Jack Davenport.
In realtà i due uomini hanno contro tutta la società inglese, anche se fingono di saperlo. Noi spettatori lo comprendiamo grazie all'efficace montaggio del film, che ci mostra, in un gioco di continui stacchi e rimandi, come ad ascoltare le radio non siano solo giovani "arrabbiati", ma anche personaggi del tutto normali come operai, massaie, lavoratori e lavoratrici di ogni sorta. Persino la segretaria del ministro, che sembra ascoltare per puro dovere professionale, per verbalizzare i presunti "reati", in realtà apprezza le trasmissioni.
E qui veniamo alla protagonista principale della vicenda, la straordinaria colonna sonora. Canzoni leggendarie della storia del Rock, vero emblema di una società che stava cambiando, e che ormai non poteva tornare più indietro, nonostante i goffi tentativi dei reazionari.
Tutto questo potrebbe fare ridere di questi tempi in cui sembra che tutto sia possibile. Tempi in cui è possibile scegliere che musica ascoltare. Ma in verità I love radio rock è un ammonimento, neanche troppo velato, a stare in guardia. Potrebbe sempre alzarsi qualcuno a decidere cosa si debba ascoltare, leggere o guardare, in nome della difesa di  un supremo interesse, che invece è solo volontà di sostituirsi al nostro libero arbitrio.
Il finale del film, dove le masse si muovono in soccorso dei conduttori radiofonici, è forse troppo carico di enfasi, ma dimostra che, inequivocabilmente, ognuno di noi deve fare la propria parte contro simili pericoli.

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