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X-Men: giorni di un futuro passato. Ovvero, storie di divergenze convergenti

x-menMolte erano le mie aspettative nei confronti di X-Men: Giorni di un futuro passato, settimo film che la Fox ha dedicato ai mutanti Marvel ideati da Stan Lee e Jack Kirby.

In realtà la storia che, sin dal titolo, ha dato ispirazione al film è opera di Chris Claremont e John Byrne, forse i migliori tra coloro che hanno continuato l'opera di Lee e Kirby. Una storia di due albi pubblicata nei primi anni '80, ma densa di tante idee che un qualsiasi autore moderno ormai la sfrutterebbe per un ciclo di almeno un anno.

Ne ho parlato meglio in questo articolo, che annuncia anche la sua riproposta in fumetteria.

Il lavoro di adattamento dei concetti fondamentali della storia originale all'universo mutante cinematografico, a opera dello sceneggiatore Simon Kinberg è forse una delle migliori qualità del film.

Quello che rende pregevole il suo lavoro non è solo l'estrema coerenza interna, la sua capacità di incastonare la storia all'interno della continuity degli altri film, ma soprattutto la sua capacità di fare agire personaggi con intenzioni e archi narrativi assolutamente divergenti, ma in modo che alla fine tendano a uno scopo comune, pur senza tradire mai la propria natura. Senza forzature.

Mi spiego meglio. Il presupposto della storia è nel 2023 l'umanità sia stata quasi massacrata e schiavizzata dalle Sentinelle, dei robot mutaforma creati per combattere i mutanti, ma che per assolvere a questa programmazione hanno anche sterminato tutti gli umani che li hanno aiutati e tutti gli umani che potenzialmente potrebbero generarli.

L'idea originale del fumetto, ripresa nel film echeggiava ovviamente la soluzione finale dei nazisti durante la II Guerra Mondiale, operata nei confronti degli ebrei, ma estesa anche ad altre etnie e a coloro che fossero in qualche modo "nemici del Reich". Anche l'idea che i mutanti venissero marchiati per essere distinti ricorda l'Olocausto. Elementi presenti sia nel fumetto che nel film.

Quello che avviene nel 2023 è che ciò che resta dei mutanti, tra i quali anche Charles Xavier, Magneto e Wolverine, cerca di sopravvivere alla meno peggio, sfruttando la capacità di Katherine Pride di inviare indietro nel tempo la coscienza del mutante Bishop per avvisarli delle imboscate delle sentinelle.

Xavier ha individuato il punto della storia che ha dato origine al loro mondo apocalittico: nel 1973 Raven Darkholme, alias Mystica, ha ucciso il genetista Bolivar Trask, fervido assertore della fondatezza del "Pericolo Mutante" e ideatore del "Programma Sentinelle". Tale delitto però non ha cambiato in modo positivo la condizione dei mutanti, anzi, ha contribuito ad alimentare la paura nei loro confronti, in seguito alla quale il governo USA ha portato avanti tale programma e, utilizzando il materiale genetico ricavato dalla catturata Mystica, ha sviluppato sentinelle mutaforma praticamente invincibili, in grado di adattarsi a qualsiasi potere mutante.

Nel 2023 tutti i mutanti, anche coloro che una volta sono stati acerrimi nemici, sono uniti contro il nemico comune e agiscono come una squadra. Xavier decide di fare mandare indietro nel tempo la coscienza di un mutante per tentare di cambiare il corso della storia. La scelta naturale sembrerebbe Xavier o Magneto, ma poiché un viaggio in un'epoca così remota risulterebbe letale a qualsiasi altro mutante, il candidato ideale risulta il riluttante Wolverine.

Wolverine si ritroverà nel 1973, a cercare di convincere un giovane Charles Xavier del pericolo imminente con la sola forza delle sue parole, perché Xavier, in conseguenza di una cura per la sua paralisi, non è dotato di poteri telepatici. Non solo, Magneto è in prigione perché accusato di aver ucciso John Fitzgerald Kennedy.

L'unica mutante nel pieno della sua capacità d'agire è proprio Mystica, che prosegue da sola la lotta di Magneto per la sopravvivenza dei mutanti, a suo modo.

Non stiamo parlando quindi di una vera squadra di super eroi in azione. Wolverine vuole cercare di assolvere alla sua missione e di non deludere lo Xavier del futuro e stesso, cercando di dominare i suoi demoni interiori e la sua rabbia. Xavier che non crede più al suo sogno, ridotto a una larva umana, dipendente come un drogato dalla sostanza che gli permette di camminare. Hank McCoy, la Bestia, che segue con affetto Xavier perché non saprebbe cosa altro fare. Magneto che guarda con disprezzo all'umanità, memore della persecuzione che lui stesso ha subito durante l'Olocausto, liberato dal trio grazie all'aiuto di un mutante velocista con problemi di relazione, Pietro Maximoff, detto Quicksilver, deciderà di unirsi a loro giusto il tempo di rendersi conto che i suoi metodi sono inconciliabili.

Mystica da par suo prosegue il suo progetto. Quando il suo primo tentativo di uccisione di Bolivar Trask fallisce, il fatto che la coscienza del Wolverine del futuro sia ancora nel 1973 lascia intuire che la catena di eventi che ha portato alla catastrofe sia ancora in corso.

Ma, ed è in questo che la sceneggiatura di Kinberg risulta essere perfetta, alla fine tutti i percorsi s'incroceranno in modo tale che persino i loro contrasti, persino gli scontri interni saranno funzionali allo scopo finale, e il futuro tornerà a essere una pagina vuota, tutta da scrivere.

Per ora, fino alla prossima minaccia, annunciata dalla scena dei titoli di coda, il mondo è salvo.

Visivamente X-Men: Giorni di un futuro passato è un film nella media della tecnica, con una resa visiva adeguata al budget, che però raggiunge la magia del grande cinema nella scena in cui Quicksilver contribuisce alla liberazione di Magneto. Pura poesia dovuta non solo all'immaginazione del regista Bryan Singer, ma anche alla maestria del montaggio di John Ottman perfettamente sincronizzato con la bella canzone Time in the bottle, cantata da Jim Croce.

Ottman è anche autore delle musiche originali del film che, pur se non particolarmente brillanti, si amalgamano con perfezione al film come difficilmente si è mai visto, proprio in virtù del doppio ruolo di musicista e direttore del montaggio.

Se alte erano le aspettative, posso dire che X-Men: Giorni di un futuro passato non le ha deluse.

X-Men: Days of Future Past, USA, 2014 - regia di Bryan Singer - scritto da Simon Kinberg - con Hugh Jackman, James McAvoy, Michael Fassbender, Jennifer Lawrence, Halle Berry, Nicholas Hoult, Ellen Page, Peter Dinklage, Shawn Ashmore, Omar Sy, Evan Peters, Daniel Cudmore, Fan Bingbing, Adan Canto, BooBoo Stewart, Ian McKellen, Patrick Stewart - durata: 130 minuti - distribuito da 20Th Century Fox

 

 

 

The Amazing Spider-Man 2: le cazzate di Electro

The-Amazing-Spider-Man-2
Peter Parker ha un PC più vecchio di quello di suo padre? O meglio, Richard Parker ha un pc con tecnologie superiori a quelle di 12 anni prima? Wow.

Peter arriva nel laboratorio del padre e il sistema completa il download dopo 12 anni?

La rete LAN è disponibile in un aereo che precipita?

L'acqua conduce elettricità, sappiatelo, non è isolante.

Cazzate su cazzate sulla magnetizzazione dei lanciaragnatele?

Le leggi della fisica sono opzionali.

Peter Parker è il secondo miglior studente di scienze e cerca la soluzione al problema dei tessiragnatele su Youtube?

Questa è una cattiva costruzione del personaggio. Chi mi conosce sa che non mi interessa la fedeltà a un canone, però se decidi che PP non è il genio che nei fumetti è al pari di Tony Stark o Reed Richards, mantieniti coerente e dimmi che a scuola va persino male. Ci crederò di più

Harry, debole e malato, estromesso dalla Oscorp, riesce a infilarsi nel Ravencroft Institute e a mettere fuori combattimento due nerborute guardie. Complimenti.

Dopo il momento di altissima tensione e dramma, tutto finisce in farsa con la battaglia contro Rhino. Ma stiamo scherzando? Vi ricordate del secondo Batman di Nolan? Quello finiva con un vero momento di tragedia e si manteneva su quel tono.

Chi aiuta Harry che era solo e isolato? Da dove spunta?

No pathos.

No epica.

Altri comprimari storici. J.J.J. è una entità che parla solo via mail. Mah.

Zero profondità dei personaggi.

Il girato è banale, meno che convenzionale. Nessun guizzo di regia, un dolly, un serio movimento di macchina. Luci flou, smarmellate o così cupe da sembrare spente (e non l'ho visto in 3D).

Hans Zimmer conosce e applica le regole fondamentali di una colonna sonora epica, come i leit motiv per esempio, ma la musica è riciclata. Si è guadagnato la pagnotta.

Non si capisce proprio come Mengele/Kafka riesca a isolarsi da Electro.

Da nerd intelligentissimo Max Dillon diventa un cretino! I poteri rendono idioti e senza un piano che non sia "Spacca e distruggi"? (Vedi Lizard del primo film).

Insomma anche in questo caso Dillon non si comporta coerentemente con la sua costruzione, bensì viene spupazzato dallo sceneggiatore, forzato a essere qualcosa di altro.

Tutti gli scienziati della Oscorp hanno il laboratorio nelle fogne di NY per contratto? (Vedi Lizard del primo film e Richard Parker in questo).

 

No, non è una vera recensione. Ho buttato giù queste righe settimane fa e le lascio così.

E anche su The Amazing Spider-Man 2: il potere di Electro ho detto tutto quello che volevo dire.

Alla prossima.

 

 

 

 

 

 

 

 

Film: Capitan America - Il primo vendicatore

Supereroi, Captain America: The First Avenger, USA, 2011 - regia di Joe Johnston - scritto da Cristopher Markus , Stephen McFeely - con Chris Evans, Hugo Weaving, Hayley Atwell, Tommy Lee Jones, Stanley Tucci, Dominic Cooper, Sebastian Stan, Toby Jones - durata: 124 minuti - distribuito da Universal Pictures - giudizio: ***

Il Capitano è arrivato. L'Universo Marvel al cinema ha adesso il suo leader, “l'uomo che può dare ordini a un dio”, e lo farà nel prossimo film sui Vendicatori.

Ma per quello bisognerà aspettare quasi un anno. Nel frattempo possiamo goderci questo film diretto con mestiere da Joe Johnston, con un risultato che va oltre la dignitosa messa in scena, riuscendo ad essere uno spettacolo compiuto, con parti anche divertenti, inseguimenti e scene d'azione ben coreografate.

La trama è ormai nota. Siamo nel 1942, in piena Seconda Guerra Mondiale. Il debole ragazzo di Brooklyn Steve Rogers vuole a tutti costi dare il suo contributo arruolandosi. Ma la sua gracilità non lo rende idoneo al servizio. Come ogni eroe destinato alla grandezza ha perso entrambi i genitori, a all'inizio della sua parabola incontra un mentore, che in questo caso è il Prof. Abraham Erskine, che gli propone di servire il suo paese in un modo diverso, arruolandolo nel programma Rinascita, orientato alla creazione di un super soldato mediante l'uso di tecnologie avanzate.

Siamo nel 1942, ma non nel “nostro” tempo. E' un punto da chiarire subito. E' un mondo ucronico e alternativo, nel quale non solo sono presenti manufatti di grande potere, ma anche capacità tecnologiche superiori. Erskine era stato infatti costretto a lavorare a un progetto simile in Germania, che aveva generato una versione malvagia del super Soldato, Johan Schimdt alias il Teschio Rosso, messo da Hitler a capo dell'Hydra, una divisione specializzata in tecnologie avanzate, coadiuvato dallo scienziato Armin Zola.

Anche negli USA esiste però una divisione simile, chiamata SSR, al cui comando c'è il Colonnello Chester Philips. C'è anche uno scienziato specializzato in tecnologie avanzate, Howard Stark, che sappiamo essere il padre di Tony, non ancora nato e futuro Iron Man.

Dopo aver superato la diffidenza di Philips, Erskine sceglierà, per le sue qualità morali, proprio Steve come suo candidato proprio Steve, sottoponendolo all'esperimento che lo renderà non un superuomo, ma un uomo al massimo delle potenzialità fisiche.

Com'è prassi il mentore morirà, ucciso da una spia dell'Hydra, portandosi nella tomba il segreto della formula del Super Soldato, rendendo Steve l'unico esemplare di questa genia.

Da qui a diventare Capitan America ne passerà un po'. Ci sono dei passaggi intermedi che sono il vero momento gustoso del film, quando non succede subito quello che ci si aspetta. Non vorrei dire molto, per non spoilerare. Il momento centrale non allunga inutilmente il brodo, ma è quello che fa la differenza tra un film di pura azione decerebrata e un film che all'azione mescola una adeguata struttura narrativa atta a giustificare con coerenza la crescita del personaggio.

Intrattenimento, ma ben fatto insomma. Ma non temete per il Capitano. Andrà incontro al suo destino, fatto di battaglie, di trionfi, ma anche di lutti. Chi conosce il fumetto sa che il nome Bucky non porta fortuna.

Fermandosi un attimo a valutare la struttura narrativa, analizzando gli schieramenti contrapposti se il Capitano ha a sua disposizione Howard Stark, e il Teschio Armin Zola, quello che fa la differenza tra i due è la loro capacità carismatica e attrattiva e il cast di alleati. Il Teschio Rosso ha un esercito spersonalizzato, di uomini senza volto dietro a una maschera, il Capitano può contare sul burbero Philips, che alla fine si rivelerà il classico pezzo di pane, sull'amore di Peggy Carter, sull'amicizia di Bucky, che “non segue il Capitano, ma il ragazzo di Brooklyn”, sulla devozione degli Howling Commandos, che tutto sono fuorché uniformati a una massa, hanno tutti un volto, un nome, e persino divise diverse. Il trionfo del Capitano è quindi quello dell'uomo, più che dell'eroe.

 

Lo spessore del cast aiuta a ben caratterizzare questa differenza. Tommy Lee Jones è convincente, Hayley Atwell non è solo bella ma anche molto brava e sono tutti ben calati nella parte Sebastian Stan (Bucky) e i vari membri del commando. Non che Hugo Weaving non faccia il suo dovere, ma Tobey Jones gli ruba la scena stavolta perché stavolta, dopo le prime sequenza “mascherato” da uomo, Weaving non riesce a uscire dalla maschera del Teschio, forse anche per colpa di una sceneggiatura che ha la sua unica grossa pecca proprio nella frettolosa definizione di Johann Schmidt. Neanche di Armin Zola sappiamo molto, ma l'eccezionale versatilità di Jones (che ricordo come uno strepitoso Truman Capote in Infamous), dona al personaggio una presenza scenica superiore nonostante la sua minore fisicità.

Che dire di Chris Evans? E' ben calato nella parte ma ha i suoi oggettivi limiti. Ha il fisico del ruolo e stavolta è diretto meglio che in Fantastici Quattro, ma temo che appena sarà accanto a Robert Downey JR. verrà eclissato. Peccato perché nei fumetti il vero leader carismatico è Steve Rogers, non Tony Stark. Vedremo cosa riuscirà a fare Joss Whedon.

A proposito di Stark, Dominic Cooper, l'attore chiamato a interpretare il padre di Tony da giovane, fa bene il suo lavoro, ma è da denuncia l'idea di renderlo quasi un clone di R. Downey Jr.. Spiacenti, sarebbe stato meglio differenziare i personaggi.

 

Sotto l'aspetto tecnico nulla da eccepire. Una ottima ricostruzione d'ambiente per quanto posso capire, con degli anni '40 nei quali però gli anacronismi hanno un senso logico, viste le premesse iniziali. Sono gli anni '40 del Marvel Universe, lo ripeto.

Effetti speciali veri e credibili, con un 3D che oscura il lavoro di fotografia di Shelly Johnson, che però non ha pretese artistiche. Dimenticatevi la sgranata fotografia del Soldato Ryan insomma.

Sono indeciso se considerarlo inutile o non invasivo il ruolo della terza dimensione. Non è infatti necessario che gli oggetti ci vengano contro per considerare “utile” il 3D, ma che restituisca una impressione di tangibilità dello spettacolo che si ha davanti. E questa sensazione talvolta si prova, non sempre è così palese, come per esempio per gli ottimi titoli di coda, dove le belle immagini stile manifesto propagandistico sembrano quasi afferrabili.

 

Buono è il lavoro sulla colonna sonora di Alan Silvestri, con una canzone che resta impressa per più qualche minuto dopo la proiezione, anche se manca un “tema” del Capitano che sia memorizzabile e distinguibile per essere considerata ottima. In effetti c'è da notare che dopo Spider-Man, sembra sia tramontata l'idea del tema riconoscibile sin dalle prime battute. Saranno forse cambiati i tempi, ma se dopo tanti anni basta sentire poche note per evocare Superman, Batman, l'Uomo Ragno, Darth Vader o Ritorno al Futuro (giusto per citare una memorabile prova di Silvestri), l'idea di tornare a questo modo di concepire la colonna sonora non è da scartare.

 

 

Piccola curiosità, ho atteso in sala fino alla fine dei titoli di coda, ma la scenetta di raccordo stavolta non c'è stata. Non so dire se nella versione che ho visto, in originale con sottotitoli, tale scena sia stata montata prima dei titoli di coda oppure sia stata semplicemente tagliata. Spero di no.

Quando rivedrò il film in italiano, nella versione ufficialmente distribuita saprò se i Marvel Studios hanno interrotto questa tutto sommato simpatica tradizione.

In conclusione lo spettacolo e il divertimento sono comunque garantiti con Capitan America: Il primo vendicatore.

In ogni caso, anche senza scenetta finale, dopo i titoli di coda ci viene fatta una promessa ben precisa: Capitan America tornerà in The Avengers.

Recensione pubblicata anche su Fantasy Magazine.

 

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