Doctor Who Series 9 starts here, with this prologue to episode 1.
Tag: tv
Where is Jessica Hyde?
La serialità televisiva vive di tormentoni. Di domande inizialmente retoriche che danno il via a una serie (ricordate la domanda Chi ha ucciso Laura Palmer? in Twin Peaks (1990), o costituiscono importanti snodi narrativi (es. Chi ha sparato a J.R.?, Dallas, 1980).
La ricerca della misteriosa Jessica Hyde è l'intenzione primaria di due personaggi di Utopia, serie televisiva prodotta da Channel 4, andata in onda tra il 2013 e il 2014 nel Regno Unito.
Sono due killer male assortiti: al limite dell'autistico Arby, che poi è quello che ossessivamente chiede dove sia questa Jessica Hyde. Più ridanciano, ma forse persino più pericoloso Lee, dai vestiti pastello e con un ciuffo che lo rendono una versione letale di un bizzarro incrocio tra Jerry Lee Lewis e Stan Laurel.
I due lavorano per il Network, una organizzazione trasversale a diverse strutture, il cui compito sembra, almeno all'inizio quello di reperire il manoscritto della seconda parte di un graphic novel di culto, l'Utopia del titolo.
Come spesso capita, la prima parte del graphic novel ha una ristretta ma agguerrita comunità di fan che si incontrano virtualmente online per parlare del loro fumetto preferito.
Ma quando salta fuori che è in giro la seconda parte, i due killer si sguinzagliano appresso a un gruppetto di questi fan, eterogeneo nella provenienza, nelle intenzioni e nelle aspettative, composto dal complottista Wilson Wilson (non è un refuso), dall'informatico Ian, dall'aspirante dottoranda Becky e dal piccolo Grant, che via internet ha nascosto agli altri componenti della community di avere poco più di 11 anni.
Ma non c'è solo il gruppetto in fuga a fare parte della narrazione . Parallelamente scorre la vicenda del burocrate del Ministero della Sanità inglese Micheal, costretto da un ricatto ad avallare l'acquisto di ingenti quantità di un vaccino per una influenza russa che appare del tutto ipotetica.
Non manca l'apparizione di personaggi misteriosi e ambigui, come la funzionaria del MI5 Milner, i due dirigenti della multinazionale del farmaco Corvadt, un ministro della sanità più che compromesso nei rapporti con questi.
Le agili sei puntate della prima stagione non solo faranno attraversare a questi personaggi un arco narrativo che non lascerà nessuno per come era partito all'inizio, ma darà presto risposta alla domanda iniziale, introducendo la misteriosa e letale Jessica Hyde, legata a doppio filo al creatore del graphic novel.
Non è l'unico personaggio inquietante della serie, se già non bastassero quelli che ho introdotto, la ciliegina sulla torta è la piccola Alice, coetanea di Grant, che reagisce in modo singolare ai traumi che subirà incrociando il gruppetto dei fuggitivi.
La trama sulla quale poggiano gli archi dei personaggi è complottismo allo stato puro. Purissimo. Il graphic novel non è altro che la rivelazione dell'esistenza di un grande complotto globale, ordito per cambiare il destino del nostro pianeta e che sta per entrare nella sua reale fase operativa, dopo tanti anni di meticolosa preparazione.
Se la prima stagione, concentrata sul complotto, sui personaggi, accenna più o meno al background, rivelando l'esistenza di un grande burattinaio chiamato Mr. Rabbit, la cui scoperta dell'identità è forse l'altra grande domanda della serie, quella che ne svela i dettagli sulla sua preparazione è la seconda stagione, con un episodio flashback che si collega a insospettabili fatti italiani, tessendo una trama che connette l'omicidio di Mino Pecorelli all'ascesa di Margareth Tatcher, tanto per fare un esempio.
Utopia però non è solo narrazione fatta di trama complessa e di bravissimi attori. Nella serie c'è una ricerca che conferma come la narrazione per immagini del mezzo televisivo non abbia nulla a che invidiare a quella del cinema. È un dato assodato tra i cultori di questa era della narrazione seriale televisiva, ma sembra che presso il "grande pubblico" (ma esiste ancora?) debba essere ancora spiegato.
I colori pastello quasi fosforescenti, la grana grossa delle immagini, i tagli delle inquadrature, spingono lo spettatore in un mondo forzatamente carico. Le ondate di violenza che lo travolgono non vengono stemperate per questo, anzi. Nonostante la percezione sia che tutto sia oltre le misure del logico, del razionale, piano piano emergono i puntelli della costruzione narrativa.
Entriamo nel mondo di Utopia perché lo riteniamo una giostra assurda, inconcepibile. Crediamo che la sospensione dell'incredulità ci salvi, facendo accettare l'inaccettabile.
A questo punto siamo perduti. Perché quando arriva il twist che spiega la visione di fondo che ha portato alla creazione del Network e al suo apparentemente assurdo piano, una vocina dentro di noi comincia a chiedersi se forse non ci sia una logica dietro tale visione.
Una logica che non posso rivelare perché renderebbe la sorpresa della vostra visione alla pari dell'estrazione di un soufflé dal forno anzitempo.
Ma è una logica che ti stringe, ti prende e inquieta allo stesso tempo.
La serie, questo ve lo posso rivelare, è stata cancellata dopo due stagioni. Il finale della seconda stagione è aperto, anzi è tutt'altro che un finale. In realtà però, a mio personale giudizio, Utopia è una serie che potrebbe non finire mai, perché la ruota del tempo gira, tutto fa parte di corsi e ricorsi, pertanto sappiamo configgere il "male" oggi non gli impedirà di tornare domani. A maggior ragione quando poi tutto non finisce in modo così banale, perché indistinto diventa il confine tra male e bene. Il mondo ipercolorato di Utopia, è in realtà un mondo di morali grigie.
A questo punto è più facile accettare l'idea di una finestra narrativa che si è aperta, gettando una luce su qualcosa che ha avuto un pregresso e avrà un futuro. Domande sono rimaste aperte, ma nella vita non è forse così? Di quante situazioni vissute abbiamo visto l'intero compimento? Di quante persone conosciamo il destino?
Questi dodici episodi sono valsi la pena. Il remake statunitense, prodotto da David Fincher, dalle ultime notizie non vedrà mai la luce.
Va bene così.
Utopia in rete
Da un'idea di Stefano Accorsi.
Le idee sono del primo che se le prende, ma penso che quella di raccontare il 1992, un anno cruciale nella recente storia italiana non sia venuta solo a lui.
In realtà pezzi di quell'anno li abbiamo già visti nelle produzioni sulla Mafia, nel racconto degli ultimi giorni dei magistrati Giovanni Falcone e Paolo Borsellino, uccisi in attentati mafiosi quell'anno.
Qui però siamo davanti al racconto di un'altra stagione, parallela a quella degli eventi mafiosi, ma non realmente distante, quella della cosiddetta Tangentopoli, sistema di tangenti e di corruzioni che, attraverso gli appalti pubblici affidati al sistema imprenditoriale, finanziava i partiti politici. La stagione dell'inchiesta battezzata Mani Pulite, venuta alla ribalta della cronaca il 17 febbraio 1992, con l'arresto di Mario Chiesa, Presidente del Pio Albergo Trivulzio.
Come avviene spesso nella rappresentazione di eventi storici, in questa produzione televisiva in 10 puntate, realizzata dalla Wildside in collaborazione con Sky e La 7, si sceglie la via di inventare dei personaggi, mettendoli in relazione sia con i personaggi che con gli eventi reali.
Un lungo preambolo scritto, poco prima di ogni puntata, spiega il lavoro compiuto dagli sceneggiatori Alessandro Fabbri, Ludovica Rampoldi e Stefano Sardo.
I personaggi protagonisti, pur se inventati, non sono quindi molto distanti da persone che in quel periodo potrebbero essere stati coinvolti in quegli eventi, in quelle posizioni e con quei rapporti con i personaggi reali.
Stefano Accorsi, ideatore della serie, si ritaglia il ruolo del guru del marketing Leonardo Notte.
Un personaggio ambiguo, senza scrupoli, con un passato misterioso alle spalle, che si trova come un pisello nel baccello in Pubblitalia, la concessionaria pubblicitaria del Gruppo Fininvest di Silvio Berlusconi.
Pietro Bosco (Guido Caprino) è un reduce della Guerra del Golfo che per fortunose circostanze si troverà a Roma, con tutta la sua semplicistica visione del mondo, a essere un deputato della Lega Nord, invischiato in un quadro politico che improvvisamente si farà confuso, venendo a patti con l'amoralità del mondo della politica.
Veronica Castello, interpretata da Miriam Leone, è una bella ragazza senza talento, che spera di diventare star della TV, o del cinema, poco importa, vendendo se stessa al migliore offerente.
I poliziotti del pool di Mani Pulite, ai quali la serie affida il compito di farci entrare direttamente nelle stanze della Procura di Milano, sono ben due: Luca Pastore, interpretato da Domenico Diele, mosso da motivazioni personali molto tragiche che lo spingono come una ossessione; il suo collega Rocco Venturi (Alessandro Roja) ha anch'egli motivi nascosti che lo portano a lavorare con il pool e dei segreti non meno inquietanti.
Beatrice "Bibi" Mainaghi, interpreta da Tea Falco, è una ragazza inquieta. Figlia viziata di un industriale spregiudicato, si troverà a gestire il cambiamento che spazzerà via il suo mondo, diventando adulta suo malgrado.
Questi personaggi si troveranno a interagire con tanti degli autentici protagonisti dell'epoca. Ricordo tra i tanti, perché centrali per la costruzione della mitologia della serie: Antonio Di Pietro (Antonio Gerardi), Marcello Dell'Utri (Fabrizio Contri) e, last but not least, Silvio Berlusconi (Vincenzo Schettini, mai inquadrato direttamente).
Un altro protagonista nascosto è Bettino Craxi, il grande cinghiale, la preda che Di Pietro inseguì con zelo, che non ha un interprete, ma appare mediante veri filmati d'epoca.
Quello che penso, senza mezzi termini, è che con questo materiale e queste premesse, showrunner come David Chase (I Soprano) o Matthew Weiner (Mad Men) avrebbero fatto un capolavoro.
Ma non siamo alla HBO o alla AMC, nonostante la produzione aspiri a questo modello. Siamo alle prese con uno spaghetti-HBO, che per fortuna evita gli stereotipi del “poliziottesco”, ma non si discosta di molto dalla media delle “fiction” italiche.
Non è un prodotto per TV generalista in Prime Time, penso che potrà essere censurato per il secondo passaggio su La 7, a meno di non trasmetterlo la notte. Però per estetica cinematografica, dialoghi e recitazione non siamo lontani.
Ma è questo il suo maledetto fascino, che mi ha irretito al punto di guardare la serie in un paio di giorni, senza soluzione di continuità, senza voler vedere altro.
Stefano Accorsi, che debuttò nel mondo cinetelevisivo con uno spot in cui recitava in inglese maccheronico “du gust is megl che uan”, perfetto esemplare di galletto da riviera romagnola, chiude in un certo senso il cerchio, interpretando il ruolo di un pubblicitario che avrebbe tranquillamente potuto avallare quello spot. Per questo ha la faccia giusta per rievocare con convinzione l'epoca.
E tutti gli altri personaggi, con le loro frasi stereotipate e incerte, sussurrate in modo atono quando non biascicate, sono un perfetto campionario di disorientata mediocrità.
Ci siamo sentiti tutti un po' così nel 1992, quando abbiamo cominciato a percepire che stava succedendo qualcosa che stava per far franare un certo mondo per come lo avevamo conosciuto.
Quell'anno non poteva essere rappresentato da un capolavoro, ma da una perfetta sintesi della nostra mediocrità.
Non siamo così profondi come vogliamo credere. Se lo ammettiamo è meglio. Ma siamo i più qualificati a metterci in scena con i nostri macroscopici difetti di chi, sulla carta, sarebbe più adatto a farlo.
E se diamo addosso a questa fiction, prendendocela con questo o quell'attore, con le soluzioni narrative forzate, gli sguardi basiti e le luci “finto non smarmellato”, è perché non vogliamo ammettere che Mani Pulite e la successiva ascesa del berlusconismo e la “seconda repubblica delle banane e del bunga bunga” non sono tra le cause del nostro declino, ma tra i sintomi.
Come andrà a finire a noi, oggi, non lo sappiamo.
Abbiamo un pregresso inquietante però. Gli anni successivi al 1992 sembrano dimostrare che, come c'è gente che è morta democristiana, qualcuno di noi è morto berlusconiano e altri ancora rischiano di morire renziani. Senza soluzione di continuità pestando nello stesso mortaio.
La favola nera di 1992 continuerà con i previsti 1993 e 1994, ma potrebbe continuare all'infinito. Non oso pensare a quale sia la forma più adatta a rappresentare il renzismo.
A chi verrà l'idea tra vent'anni? A un youtuber?
Possiamo anche rifletterci, ma tanto è troppo tardi.
Firefly è una bella serie fantascienfica-western. Putroppo è durata solo 15 episodi, per poi terminare in un film proiettato nelle sale "Serenity". Una serie molto bella. E Serenity è, a mia opinione, uno dei più bei film di fantascienza mai visti. Dopo averlo visto il rammarico aumenta. La serie aveva tante di quelle potenzialità inesplorate. Un universo enorme di possibilità, oltre che dei personaggi stupendi! Ci sono una serie di curiose analogie tra Firefly e Star Trek. Anche per Star Trek, dopo il fallimento della serie, è stato prodotto un film, scaturito poi in una serie di film e di altri telefilm. Potrebbe essere di buon auspicio per Firefly?
Ma non è l'unica curiosa analogia tra Star Trek e Firefly. Firefly è, come era Star Trek (parlo della prima serie, la TOS), una serie ad alto budget, prodotta per il network e non per la syndacation. La differenza tra network e syndacation è la stessa che passa tra Canale 5 e Italia 7 per esempio. Il network è un canale che trasmette in tutto il territorio nazionale in contemporanea. La syndacation è una associazione di tante tv locali. La maggior parte dei telefilm di fantascienza, pur ad alto budget, sono prodotti per le syndacation. Perchè, nonostante ci sia una audience più alta che in italia, è anche vero che fanno meno ascolto dei teleflm "mainstream" siano polizieschi o sit-com. E quindi attirano meno investitori pubblicitari. Se un programma fa bassa audience in syndacation è più tollerabile che non se la stessa audience la facesse su un grosso network. La TOS (The Original Series), la prima serie di Star Trek era prodotta per il network NBC. Il risultato fu che,a causa dei bassi ascolti, Star Trek rischiò di chiudere già alla prima serie. Faticosamente, e in seguito alle proteste degli agguerriti fan, proseguì per altri due anni. Il suo risorgimento avvenne poi negli anni 80 ma questa è un altra storia. La storia si è quindi ripetuta per Firefly. Joss Whedon praticamente ricattò il network FOX per farsi produrre questa serie. Forte del successo di Buffy, voleva realizzare una serie più adulta. E il network lo assecondò. Ma il relativo insuccesso di pubblico fece si che la serie chiudesse al quindicesimo episodio. Nulla poterono le proteste dei soliti agguerriti fan. Per fortuna, poichè Whedon gode comunque di un buon credito, gli venne concesso di realizzare un film per il grande schermo. Tra laltro il cofanetto in DVD ha invece riscosso un buon successo di vendite. Da un lato il film serviva a Whedon perchiudere alcune delle sottotrame rimaste aperte. Dallaltra un relativo successo di pubblico avrebbe potuto convincere la Fox a proseguire la serie. Putroppo il film, apprezzatissimo da critica e appassionati, non ha avuto il successo di pubblico sperato.
Post pubblicato anche su Pordemovie & Friends