Riprendo qui il mio articolo nel quale tratto la mia esperienza di curatela del volume "Trinacria Station. Antologia della fantascienza siciliana", edito da Delos Digital. L'articolo è stato pubblicato sul numero 31 di Fondazione SF Magazine nel 2023, ed è stato finalista al Premio Italia 2024 nella categoria "Articolo su rivista amatoriale".
Non è stato semplice lavorare su “Trinacria Station. Antologia della fantascienza siciliana”. Si è trattato di camminare sulle orme tracciate da Gian Filippo Pizzo, l'antologista per eccellenza, per un progetto che era rimasto incompiuto a causa della sua prematura morte nel 2021.
Il progetto di Gian Filippo consisteva in un'antologia di racconti di fantascienza scritti da autori siciliani, da presentare alla prima Italcon, la convention italiana del fantastico, che si è tenuta a Catania, nei giorni 10 e 11 dicembre 2022, per la prima volta in Sicilia.
La mia partecipazione all’antologia era prevista solo come autore, invitato da Gian Filippo, e nei giorni in cui lui è morto stavo lavorando al racconto con il quale adesso sono presente. Mi dispiace molto che non abbia potuto leggerlo. Nei mesi successivi alla sua morte ho completato il racconto per dovere di completezza, nella prospettiva magari di pubblicarlo altrove. L'ho recuperato quando Silvio Sosio, tra i fondatori della Delos Digital, per la quale curo la collana Odissea Fantasy e la rivista FantasyMagazine, mi ha contattato dicendomi che, in omaggio a Gian Filippo, avrebbe voluto completare l'antologia, e mi ha chiesto aiuto per la curatela finale.
Sono sempre stato pigro con la narrativa. Mi dispiace non essere mai stato in grado di partecipare alle antologie di Gian Filippo, con il quale mi sono incrociato e ho chiacchierato spesso negli scorsi anni in varie convention e appuntamenti fantascientifici. In molte occasioni ho ricevuto le sue “chiamate alle armi”, per volumi che sono autentici punti di riferimento per tutti gli appassionati, e mi spiace esserci solo nell'ultimo, in forza di un ritrovato interesse per la narrazione, stimolato proprio a suo tempo dall’invito di Gian Filippo.
So che questa non è l'antologia che avrebbe fatto Gian Filippo, nessuno saprà mai quale sarebbe stato il risultato finale, ma spero che ci si avvicini. Silvio Sosio, con l'accordo della famiglia, ha recuperato dal suo PC i racconti fino a quel momento giunti, l'elenco dei partecipanti e l'accenno di introduzione che aveva scritto. Inoltre, ha acquisito altri racconti per completare il quadro e chiesto a Franco Brambilla di realizzare la copertina.
Il mio apporto si è quindi limitato alla revisione e controllo dei racconti, all’aggiunta di una piccola nota dopo l'introduzione purtroppo incompleta di Gian Filippo, e delle biografie degli autori.
Data la delicatezza del compito, non ho voluto aggiungere altro al volume, come una mia personale presentazione, nella consapevolezza che il lavoro di Gian Filippo fosse in grande parte compiuto. Quando sono stato invitato a scrivere un articolo per Fondazione però ho pensato che fosse passato abbastanza tempo per raccontare un po’ l’antologia e i suoi racconti.
La prima cosa da dire è che il sottoscritto non ha mai pensato che nascere in un posto anziché un altro sia motivo di chissà quali differenze. Anzi, ritengo che molti dei guai del nostro mondo siano dovuti a chi traccia confini, a chi è convinto che nascere in un luogo ti renda migliore di chi nasce in un altro, a chi ha coniato termini come nazione e nazionalità. Ma il nostro legame con la Sicilia c’è, è un dato statistico demografico forse, burocratico sicuramente, ma ci veniamo a patti, comunque, durante la nostra vita. Credo che sia questo l’unico filo conduttore possibile per ragionare a mente fredda sul rapporto con la sicilianità dei racconti contenuti in Trinacria Station.
C’è poi da constatare l’elevata quantità e varietà di temi e di ambientazioni trattati dai racconti. Fedeli ai dettami dell’antologista, dalla varietà di temi e di autori, quella che è risultata è una raccolta multiforme, che mostra autori legati al loro territorio, ma anche pronti a scostarsene alla bisogna. Con siciliani che lì abitano, siciliani in trasferta, ma anche legati alle loro origini anche se non nati propriamente in Sicilia.
Non c’è un percorso, una “via siciliana alla fantascienza” che ci ha portati alla partecipazione al progetto, ma solo una provenienza, a volte remota. Io stesso ho vissuto in varie città italiane, non solo a Palermo, fino poi a trasferirmi a Milano.
Riflettendo sulla sicilianità mi è venuta in mente un’interessante suddivisione tra siciliani, forse un po’ manichea, di Vittorio Nisticò, direttore del giornale L’Ora di Palermo tra il 1954 e il 1974. Nisticò parlava di “siciliani di scoglio”, ovvero talmente legati alla propria terra da non volersene mai staccare, e di “siciliani di mare aperto”, propensi ad abbandonarla, e che riescono a metabolizzare la distanza dalla loro terra.
La definizione mi trova d’accordo in primis perché fa riferimento al mare, un elemento imprescindibile per una gran parte dei siciliani. L’entroterra siciliano è profondo e ha le sue peculiarità, ma fondamentalmente la Sicilia è un enorme scoglio. I tre chilometri che la separano dall’Italia sono pochi in termini assoluti, ma abbastanza per stabilire un confine che è impossibile valicare per errore, girovagando a caso. Ci vuole uno sforzo di volontà, anche minimo, per attraversare il mare.
Lo scrittore Andrea Camilleri, famoso per i gialli di Montalbano, disse di sé stesso di essere un siciliano di mare aperto. Lo affermò in un’intervista a Marcello Sorgi pubblicata nel volume La testa ci fa dire. Dialogo con Andrea Camilleri (Sellerio, 2000). La sua vita lo testimonia. Infatti, visse, divenne un importante autore televisivo e un affermato scrittore e poi morì, a Roma. Leonardo Sciascia rimase legato al territorio, nella stessa intervista Camilleri riporta come lo scrittore di Regalbuto stesse male anche solo durante brevi trasferte fuori dalla Sicilia, ma ribadisce che, “il suo scoglio era così alto che lui da lassù poteva guardare il mondo”, ossia l’essere residenti in Sicilia non comporta isolamento, bensì essere “semplicemente separati dalla terraferma”.
Per come l’ho conosciuto, potrei dire che Gian Filippo fosse un siciliano di mare aperto, partecipante a convention in ogni dove, abitante stabilmente in Toscana. Conosco la maggior parte degli autori di Trinacria Station, e non so dire come si sentano loro rispetto a questa divisione. Paradossalmente, riflettendoci, ho incontrato molti di loro per la prima volta fuori dalla Sicilia, pur avendo avuto occasioni mai concretizzatesi di incontrarli prima del mio trasferimento a Milano, per cui non credo che, almeno per quelli che ho conosciuto, si possa dire che non siano disposti almeno a brevi trasferte.
Se dovessi giudicare dai racconti proposti questa appartenenza, osserverei che alcuni dei siciliani emigrati che hanno scelto un’ambientazione isolana non sembrano aver chiuso veramente i conti con la terra di origine. E cosa dire di coloro che non hanno scelto un’ambientazione siciliana? Lo hanno fatto per non riaprire dolorose ferite, oppure perché il loro rapporto con la lontananza è più che sereno? Di altri, dalla mia pur breve esperienza diretta con loro, posso lanciarmi nell’affermare che sia molto probabile la loro assoluta serenità di condizione. Siciliani di mare apertissimo, lanciati nel mondo reale come nei mondi fantastici che descrivono nelle loro opere.
Possiamo valutare la complessità delle idee e della visione del mondo di uno scrittore sulla base di un singolo racconto? Credo di no. Ma possiamo provare, come mero esercizio di stile, a pensare a quali dei racconti presentati fosse in sé l’espressione di una sicilianità di scoglio o di mare aperto, ma tengo per me ogni conclusione, invitandovi a leggerli alla luce di queste idee di sicilianità. Ovviamente, sono disponibile a cambiare l’opinione che mi sono formato. Quindi possiamo parlare di “racconti di scoglio” o di “racconti di mare aperto”.
Vi invito quindi a leggere, “Il primo maggio del dottor Piccottini” e “La voluttà di creare”, di Luigi Capuana, autore che è considerato dalla critica letteraria come un “padre del Verismo”, ma che in questi due racconti si avventura in una fantascienza concepita come racconto a tema scientifico, con una buona dose di ironia, mettendo in ridicolo, mediante effetti paradossali, le distorsioni dell’eugenetica e della cattiva ingegneria genetica. Anche in “Le urla della mente” Bruno D’Agostino si pone domande su conseguenze negative, l’altra faccia di un potere apparentemente portentoso: la telepatia. Salvatore Schiavone in “Rapporto sui risultati dell’operazione: ‘Terra Nostra’”, non si fa scrupoli di satireggiare e fare uno sberleffo alla Mafia, nel racconto di un primo contatto con una razza aliena. “Ritorno”, di Piero Schiavo Campo, e “Capo Milazzo”, di Nino Martino, danno spiegazioni e risvolti tecnologici e fantascientifici ad alcuni dei tantissimi miti della tradizione popolare siciliana. Si parla da troppi anni di ponte sullo stretto in Sicilia. Francesco Grasso da parte sua ne “Il giorno del ponte”, si cala in contesti noir-cyberpunk. Emiliano Farinella in “Non può piovere per sempre” unisce impegno civile e fantascienza militare. Lo strano e complesso rapporto tra due gemelli, ai quali la tecnologia avanzata ha fornito nuove forme di unione è al centro di “Empatia”, di Antonino Fazio. Fabio F. Centamore in “L’ampolla di hatrigluna” crea uno scenario fanta-avventuroso degno di Indiana Jones e Martin Mystère, in contesto siciliano durante il ventennio. M. Caterina Mortillaro con “Desolazione” propone una distopia, che mostra comunque un barlume di speranza. In “Stilbe” Enrico di Stefano si diverte con antiche leggende. Claudio Chillemi non si pone timori reverenziali nel rendere protagonisti, in un commosso omaggio, i giudici Falcone e Borsellino, nella distopia futurista “Il quarto livello”. Mariano Equizzi è autore di “KORE”, un trattamento cinematografico d’ambientazione siciliana che affronta la questione mafiosa con un ghigno beffardo. In “Òbo” Ambra Stancampiano ci mostra le conseguenze, e i contrappassi, della manipolazione indiscriminata degli animali. In “Terraforming” il sottoscritto racconta di un’umanità in continua ricerca di pianeti da colonizzare che cerca di scoprire il mistero della possibile presenza di vita nell’Universo. Conclude l’antologia una “Breve storia della fantascienza siciliana”, scritta da Enrico Di Stefano. Breve ma densa.
Per come la vedo io, quest’antologia non vuole suggellare la nascita di un movimento o segnalare altra peculiarità che non sia un legame con la Sicilia, ciascuno in modo diverso.
Un legame che la bella copertina del sopra citato Brambilla ha ben evidenziato, una stazione spaziale a forma di Triscele, un simbolo che rappresenta la Sicilia, ma che è anche testimonianza di quanto questa terra sia stata storicamente un crocevia di mondi diversi. Il titolo del file dell’immagine di Franco è poi diventato il titolo dell’antologia, che fino a quel momento aveva un nome di lavorazione molto generico e molto poco creativo di “antologia siciliana”.
Quando pubblicai l’anteprima della copertina sui social, un mio contatto non italiano mi chiese come mai sulla copertina ci fosse il simbolo dell’isola di Man. In realtà facendo qualche ricerca ho scoperto – sono un matematico, non uno storico - che si tratta di un simbolo che rappresenta la Sicilia almeno dal 600 a.C., che forse i dominatori greci trovarono già in uso da popolazioni autoctone, e che per vie complicatissime è arrivato a Man nel XIII secolo, adottato poi anche da varie casate nobiliari europee, diventando in tempi recenti parte della bandiera della Sicilia, con legge dell’Assemblea Regionale Siciliana.
Che siano di mare aperto o di scoglio, i siciliani sono comunque ben legati al mondo che li circonda, da tempi remotissimi. Capaci quindi di guardare al futuro, consci di un passato ricco e denso.
Va detto che, a latere di qualsiasi altra considerazione, i siciliani dell’antologia si presentano come narratori di storie. Nel ricordare il già citato di Camilleri, non posso non ricordare che molto spesso lo si è definito Maestro. Personalmente ritengo che ridesse di gusto di coloro che gli davano un simile appellativo, ma che Camilleri potesse insegnare a tutti il mestiere della scrittura era innegabile. Un mestiere che forse è anche falegnameria, costruzione di mobili solidi e concreti, da usare tutti i giorni.
Non molti sanno che si è dedicato al fantastico, con tre romanzi brevi, dei quali l’autore disse “il meglio di me risiede in questa trilogia fantastica”. Si tratta di “Maruzza Musumeci” (2007), “Il casellante” (2008) e “Il sonaglio” (2009). Sono libri immersi nel "realismo magico”, capaci di toccare i cuori ma anche soddisfare la mente e gli appassionati della buona scrittura.
Non pensiate che sia immodesto, ma quest’antologia vuole inserirsi in questo solco, quello di una narrazione concreta, affrontata con il filtro del fantastico, di cui fruire a prescindere dalla provenienza geografica degli scrittori.
Godetevi le storie che Trinacria Station contiene. Alla fine, solo questo conta.
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