Scritti, impressioni, opinioni.

Categoria: recensione Pagina 4 di 6

Film: End of Watch

Regia: David Ayer
CAST: Jake Gyllenhaal, Michael Peña, Anna Kendrick, America Ferrera
GENERE: Chrime - Thriller
Durata 109 minuti

Gli agenti Brian Taylor (Jake Gyllenhaal) e Mike Zavala (Michael Peña) hanno giurato di ‘servire e proteggere’ il proprio Paese. Ad ogni costo.
Affrontando il rischio giorno dopo giorno, tra loro si instaura un legame profondo, potente, autentico, che li fa agire come fossero una cosa sola, consapevoli che in ogni momento uno dei due potrebbe non arrivare vivo alla fine del turno.
Quotidianamente Brian e Mike pattugliano le strade di South Central Los Angeles a 360° lottando contro la criminalità organizzata, ma quando si imbattono nei potenti cartelli della droga saranno loro a diventare il bersaglio numero 1...

 

Benvenuti a Los Angeles.

Nel primo semestre del 2008 a Los Angeles si sono verificati 198 omicidi (9,6 ogni 100.000 abitanti), dato che se messo in relazione con quello del 1993, in cui il tasso di uccisioni era pari al 21,1 ogni 100.000 abitanti, mostra la forte diminuzione dei delitti a sfondo criminale nell'intera area. Questo include 15 poliziotti coinvolti in sparatorie e il primo agente della SWAT ucciso a Los Angeles, Randal Simmons. (Fonte Wikipedia)

In diminuizione o no, resta il fatto che lavorare come poliziotto a Los Angeles non è facile. Questo è il messaggio che ci spedisce dritto dritto nello stomaco End of Watch di David Ayer.

L'acronimo del titolo è EOW ed è la sigla con la quale gli agenti chiudono i loro rapporti, le "scartoffie", a suggellare la fine del turno (letteralmente sarebbe fine del pattugliamento).

Lo stile scelto da Ayer per raccontarci seccamente le giornate di lavoro dei due poliziotti è quello del finto video amatoriale, della visione dalla webcam, o dalla camera montata sull'auto (con tanto di timecode in sovraimpressione).

Protagoniste sono anche le cam delle bande di "gangsta", composte di sbandati convinti di essere dei duri, disposti a vivere e morire pericolosamente.  Brian e Mike si troveranno, facendo semplicemente il loro lavoro, a pestare i piedi a queste bande, che non gradiranno molto. Ma non aspettatevi la storia di due eroi che sovvertono il mondo, bensì la cronaca quotidiana di chi ci mette una pezza, che timbra un cartellino e cerca di guadagnarsi la giornata, per poter scrivere le sospirate lettere EOW sul rapporto.

Semplicemente perfetti i due attori principali e se la dinamica agente anglofono e agente ispanico vi ricorda Baker e Poncharello di Chip's, dimenticateveli. Qui non c'è il siparietto simpatico a fine episodio. La giornata potrebbe finire male.

Ottimo il resto del cast, tra cui spicca la "pivellina" America Ferrera, irriconoscibile ma mai dimenticata Ugly Betty. Bravissima.

Un film che merita la visione.

 

Film: Killer Joe

Regia: William Friedkin
Cast: Emile Hirsch, Matthew McConaughey, Juno Temple, Thomas Haden Church, Gina Gershon
Titolo originale: KILLER JOE
Genere: Drammatico
Durata: min 103
Anno: 2012

Sinossi
Il ventiduenne Chris Smith è uno spacciatore di droga al quale la fortuna ha voltato le spalle, ma le cose per lui peggiorano ulteriormente quando decide di ingaggiare il seducente sicario Killer Joe per uccidere sua madre e incassarne la polizza sulla vita che ammonta a 50.000 dollari. Avendo però in tasca solo un dollaro, Chris acconsente a dare a Joe come garanzia e compenso sessuale aggiuntivo per il servizio reso sua sorella minore Dottie, in attesa di incassare i soldi dell'assicurazione. O meglio, se mai riuscirà ad incassarli.

William Friedkin è stato uno dei registi che mi ha dato più emozioni nella mia vita di cinefilo. Ero troppo piccolo per ricordarmi dell'impatto di The French Connection (Il braccio violento della Legge, 1971) al cinema, ma l'ho visto e recuperato anni dopo. È uno dei miei "film della vita", insieme a un altro di Friedkin, To Live and Die in LA (Vivere e morire a Los Angeles, 1985).  Ma non si vive di ricordi o di aspettative sul futuro, basandosi sul passato.

In questo film Friedkin comincia con il suo stile pulito, elegante, la costruzione di un noir che parla del piano "geniale" di un gruppo di sfigati e che ovviamente, tanto geniale non si  rivela e va tutto in vacca. Purtroppo il registro cambia in corso d'opera, e il tentativo di passare dalla tragedia alla tragicommedia non funziona. Qualche distrazione nella sceneggiatura fa poi perdere compattezza alla storia, che diventa un guazzabuglio, fino a un finale parossistico che sfida, e perde, il senso del ridicolo.

Discontinua è la resa del pur buono gruppo di interpreti. È bravissimo Thomas Hayden Church, il migliore insieme alla Temple, efficace Emile Hirsch, mentre è una macchietta Gina Gershon e veramente ridicolo, da comicità involontaria, Matthew McConaughey, forse uno dei più sopravvalutati interpreti di tutti i tempi.

Se volete una tragicommedia, che fustighi la società americana, la famiglia, l'universo e tutto quanto, recuperate Fargo dei fratelli Cohen, e trascurate Killer Joe anche in home video. Non ne vale la pena.

 

Film: Ribelle - The Brave

Titolo originale Brave (USA 2012) Un film di Mark Andrews. Con le voci di Rossa Caputo, Anna Mazzamauro, Ugo Maria Morosi, Emanuele Rossi, Shel Shapiro, Enzo Iacchetti, Giobbe Covatta, Fabrizio Mazzotta  - Distribuito da Walt Disney

 

La verità è che l'ultimo film della Disney/Pixar è bello. Bellissimo.

Sin dall'incipit, che ha il giusto senso del ritmo. Un quadretto familiare apparentemente tranquillo. Nella Scozia medievale Re Fergus e della Regina Elinor e Merida, la loro figlia sembrano godersi un momento di quiete. Ma fuggendo dalle banaltià Merida non sta facendo giochi da maschio. Ha una passione sfrenata per il tiro con l'arco, e il papà la incoraggia regalandole una versione piccola, ma funzionante, dell'arma, con la disapprovazione della madre. Sì, c'è sempre un genitore accondiscendente, è vero.

Mentre Merida si addestra irrompe un enorme orso e l'incipit termina di netto mentre il padre si lancia verso l'animale per proteggere la famiglia.

Impossibile descrivere l'autentico tuffo al cuore che ho provato. È una questione di sfumature, bastava poco per narrare gli stessi eventi in modo meno pregnante, meno emozionante. Non so. Funziona.

Dopo il breve titolo di testa (i credits li vedremo tutti a fine film), ritroviamo Merida qualche anno dopo, adolescente. É diventata abilissima con l'arco, con la ovvia disapprovazione delle madre e l'orgoglio sotto i baffi del padre, che contro l'orso perse una gamba. Ha tre pestiferi fratellini gemelli, rossi anche loro di capigliatura, che ne combinano di tutti i colori.

La madre, sempre bellissima e altera, ha un piano per lei, darla in sposa a uno dei tre principi pretendenti, allo scopo di ricomporre un'antica faida e assicurare al regno la pace duratura.

Ovviamente alla ragazza di piegarsi alla ragion di stato non interessa proprio, e fugge dopo aver battuto, proprio al tiro con l'arco, gli improbabili pretendenti alla sua mano. Non è solo abile con l'arco la giovane, è anche abbastanza furba da interpretare nel modo giusto il regolamento del torneo. Ma forse non lo è così tanto quanto crede. Fuggita dopo aver litigato per l'ennesima volta con la madre, chiederà a una strega (citata pari pari dai film di Miyazaki), una magia che possa cambiare la madre in modo che non la costringa più a sposarsi.

Se è stata così furba a capire il regolamento del torneo, il suo furore e anelito di libertà non le faranno bene comprendere le conseguenze della magia che userà verso la madre che subirà una trasformazione imprevedibile.

Comincerà quindi la vera avventura di Merida, che dovrà salvare la madre dalla magia, il regno dalla guerra e se stessa da un destino che non le appartiene. Sarà un percorso di crescita che farà maturare madre e figlia e, ovviamente, il loro rapporto.

Saranno tante le emozioni che la sceneggiatura di Brenda Chapman e Irene Mecchi ci propone. La Chapman firna anche la regia, insieme a un altro veterano dell'animazione, Mark Andrews.

Ne viene fuori un film che riesce a toccare tutte le corde, dalla commedia a momenti horror che non fanno invidia alla vecchia Biancaneve, per lanciarsi nella pura avventura fantasy.

Mi dispiace spoilerare, ma qui non c'è nessun aspirante principe che impalmerà la bella. C'è il percorso di due donne, la giovane Merida e la madre Elinor, che impareranno ad ascoltarsi, e che mediante il percorso avventuroso troveranno la maniera più intelligente di risolvere la situazione, mentre i maschietti, diciamo la verità, fanno una mera figura, presi come sono a darsi cazzotti senza ragione, bere e gozzogovigliare.

Non che il re Fergus sia una figura di mero contorno, ma parliamoci chiaro, qui sono le donne a salvare la giornata, fosse per gli uomini non ci sarebbe stato rimedio ai guai.

 

Tecnicamente il film è talmente superbo da dare autentiche emozioni. Dalla camminata barcollante e tenera della Merida piccola, alla nervosa precisione della sua capigliatura adulta, agli stupendi paesaggi, sono tante le prove di autentica arte che il film propone.

 

Sceneggiatura intelligente, arte allo stato puro, cuore e tecnologia. Ribelle – The Brave è un'altra pietra miliare della produzione Disney/Pixar. Un capolavoro assoluto.

Ps. Ve lo dico casomai non lo sapeste Brave significa "coraggioso" e non "ribelle", ma pazienza. Non che Merida non si riveli più che una ribelle, ma se volete imparare l'inglese mediante le traduzioni dei titoli dei film è meglio che vi avvisi. In ogni caso ho visto anche un poster, che allego all'articolo, che accenna al vero significato della parola.

Libri: Il bibliotecario

Mikhail Elizarov, Il bibliotecario (2008) - FANTASTICO - Atmosphere Libri - 2011 - traduttore: Simone Guagnelli - pagine 240 - prezzo 19,00 euro

Pseudo scrittore e tanti pseudo biblia in questo romanzo russo ai confini del fantastico. Lo scrittore dimenticato Dimitrj Gromov è autore di libri il cui potere non è solo quello, a noi noto, di suggestionare e di affascinare i lettori. C'è di più. I libri di Gromov, all'apparenza novelle scritte con enfasi e sentimentalismo, con una prosa lirica e altisonante, sono capaci di scatenare nei lettori dei poteri che possono renderli più che umani. Memoria, sopportazione del dolore, forza fisica possono ampliarsi oltre ogni limite.

Intorno a questi volumi si aggregano quindi gruppi di lettori, che imparano a conoscere i volumi con titoli diversi da quelli in precedenza noti. Titoli che chiariscono le potenzialità dei volumi, come il Libro della Forza, il Libro della Potenza, il Libro della Sopportazione e, libro dei libri, il Libro del Significato.
I gruppi, però non vivono in pace e in armonia, bensì fanno in realtà parte di un mondo parallelo, nel quale le biblioteche e le sale di lettura che possiedono gli ambiti volumi sono nascoste dietro facciate di associazioni di comodo.
E non mancano gli scontri tra i vari gruppi, vere e proprie sette, ognuna dotata del suo codice e linguaggio iniziatico. Non manca una sorta di regolamento comune di questi scontri, che disciplina luoghi e armi da usare.
In questo mondo parallelo precipita a un certo punto il giovane Aleksej, quando dalla natia Ucraina arriva a Mosca, in seguito alla morte dello zio dal quale eredita la biblioteca di cui era titolare.
Aleksej si ritroverà coinvolto suo malgrado in questi giochi mortali, costretto a prendere decisioni estreme per sopravvivere.

Non c'è solo il racconto di questo mondo secondario però nel romanzo.
L'immaginario scrittore Gromov è vissuto in piena era sovietica, epoca nella quale giovane protagonista è nato, per poi trovarsi, nel bel mezzo della sua formazione, in piena Perestrojka, mentre la vicenda in cui si trova ora coinvolto è ambientata in quel mondo di transizione che in un certo senso è ancora oggi l'ex Unione Sovietica.
Aleksej ha vissuto, nella pur breve prima parte di vita, tutto il senso di spiazzamento di chi è nato con alcune certezze, e nel corso della sua vita le ha viste crollare. L'esperienza che vivrà nel suo nuovo mondo non gli è quindi estranea. Dovrà quindi disimparare quanto appreso nella sua vita precedente e imparare cose nuove, creandosi nuovi punti di riferimento, imparando a vivere senza certezze.

Dopo queste premesse ci potrebbe aspettare una lettura impegnativa. Invece l'agile prosa del romanzo ci porta senza fatica a scoprire il perché di tante lotte senza quartiere e il come e se il giovane Aleksej reggerà il peso dell'eredità dello Zio. Tante domande troveranno risposte in una lettura appassionante che non vorreste che finisse, nonostante l'insano impulso di girare ogni pagina per sapere cosa succederà nella successiva.
E' una esperienza di lettura totalizzante e immersiva. Un volume coinvolgente e appassionante. Un atto di amore verso il potere dei libri e della lettura.

Recensione pubblicata anche su http://www.fantasymagazine.it/libri/15779/il-bibliotecario/

 

Film: Il Cavaliere Oscuro – Il Ritorno

The Dark Knight Rises, Stati Uniti, Gran Bretagna, 2012 - regia di Christopher Nolan - scritto da Jonathan Nolan, Christopher Nolan (su un soggetto di Christopher Nolan e David S. Goyer basato sui personaggi creati da Bob Kane e Bill Finger) - con Christian Bale, Michael Caine, Gary Oldman, Anne Hathaway, Tom Hardy, Marion Cotillard, Joseph Gordon-Levitt, Morgan Freeman - durata: 165 minuti - distribuito da Warner Bros. Pictures

 

Dopo Il Cavaliere Oscuro, secondo film della trilogia di Christopher Nolan, le aspettative per questo terzo e conclusivo capitolo erano e sono altissime. La struttura narrativa del film rischia inevitabilmente di fare mettere a confronto l'ultimo film con il precedente, ma preferirei evitare.

Il progetto di Nolan è però chiaro. Quella che ha messo in scena è una tragedia in tre atti, con vari temi affrontati, dalla vendetta alla profonda differenza tra legge e giustizia, passando per il racconto della tragedia umana di Bruce Wayne, che indossa la maschera del giustiziere per espiare il senso di colpa dovuto alla morte dei genitori, dei quali si rende responsabile. Il terzo capitolo aggiunge altri temi a questo racconto, che è casualmente interpretato da personaggi che si chiamano come quelli del fumetto Batman.

Come un bambino che prende le sue action figures e fa interpretare loro delle storie, Nolan non ha narrato una precisa storia tratta dalla lunga vita editoriale del personaggio, ma oltre ad avere usato come maschere i vari personaggi, ha anche attinto ad alcuni di quei momenti per il racconto. Da Year One a The Dark Knight Rises fino a Knightfall (gioco di parole che indica sia la “caduta del cavaliere” ma anche data la pronuncia inglese “il calare della notte”).

Sono passati otto anni dagli eventi del secondo film. La grande bugia concordata da Batman e James Gordon (Gary Oldman) ha consentito alla città di sfuggire alla morsa del crimine organizzato, consentendo un periodo di prosperità senza pari. La commemorazione del giorno della morte di Harvey Dent è addirittura una festa per la città, che ricorda con devozione il suo più grande eroe, e con disprezzo colui che ritiene il suo assassino: Batman.

Gordon nasconde tutto il peso di quella verità, che vorrebbe rivelare al mondo. Nonostante la sua promozione a Commissario, è stato abbandonato dalla famigla, ed è sempre a un passo dal fare la grande rivelazione, che ha scritto di suo pugno, in una lettera che nessuno dovrebbe leggere mai.

Bruce Wayne (Christian Bale) dal canto suo dopo aver abbandonato la maschera di Batman, si è rinchiuso nel suo dolore per la perdita dell'amata Rachel, e vive in una zoppicante misantropia in una ala della Villa Wayne, senza vedere nessuno tranne la servitù.

In realtà nell'apparente pace di Gotham se tante sembrano le luci, i fasti e i sorrisi, molte sono le ombre. Molti si sono adagiati sugli allori, godendosi troppo il momento di pace. Le Wayne Enterprises stanno colando a picco per investimenti sbagliati e l'apparizione della ladra Selina Kyle (Anne Hataway, mai chiamata Catwoman in tutto il film), che deruba come un pivello il bolso Bruce Wayne della collana della madre e delle sue impronte digitiali, sembra essere l'inizio di un complotto che ha lo scopo di metterlo in ginocchio.

A manovrare contro Gotham è il cattivo annunciato, ossia Bane (Tom Hardy), che cerca di dissimulare i suoi propositi nichilisti con risibili motivazioni, come l'indignazione dei poveri nei confronti dell'alta finanza. In realtà è un delinquente, bravo a menare le mani, che recita come un pupazzo dei dialoghi improbabili. Probabilmente è un effetto voluto, visto che non solo Bane dietro la sua facciata da Masaniello d'oltreoceano ha un piano criminale, ma ha anche un burattinaio dietro le quinte.

Il Batwing

Due topoi classici della narrazione supereoistica come la “fall from grace” del protagonista, e l'”attacco alla città”, si mescolano quindi in una trama densa, pure troppo, nella quale non mancano scene da puro orgasmo nerd, come l'apparizione del Batwing, che rubano la scena a una Catwoman che vorrebbe essere erotica, ma che ha il volto della amica carina, della quale in teoria sei innamorato, ma alla quale alla fine non hai mai dichiarato il tuo sentimento, perché in fondo non ti piaceva abbastanza.

Tra confronti anche e soprattutto verbali (non è che poi i cazzottoni siano così tanti nel film), inseguimenti, esplosioni e situazioni di pericolo gli oltre 160 minuti del film scorrono. Quello che manca è il “prestige” a cui ci ha abituato (dovrei dire viziato) Nolan, quell'improvviso ribaltamento di prospettive, quel momento in cui ti rendi conto che pensavi di avere capito tutto e invece non avevi capito niente.  Trama e personaggi seguono l'arco narrativo intuito all'origine, fino alla fine. Non credo di avere avuto particolari intuizioni a capire dopo un paio di battute il ruolo nella vicenda del poliziotto Blake (Joseph Gordon-Levitt) o della miliardaria Miranda (Marion Cotillard). Ho la netta sensazione che Nolan urli allo spettatore il destino dei personaggio, come un antico tragediografo greco, il cui scopo non è sorprenderci con un colpo di scena, ma ammaliarci con il racconto di come la tragedia si compie.

Il declino economico delle Industrie Wayne che coincide con il declino morale della città è uno degli argomenti del film. L'orfanotrofio non ha più le necessarie sovvenzioni, pertanto i fondi che dovrebbero aiutare gli orfani, una volta raggiunti i sedici anni, ad inserirsi nel mondo, sono esauriti, così gli ex bambini diventano ladri, unendosi all'esercito sotterraneo di Bane, o poliziotti, come il giovane Blake, che però conserva ancora una certa ingenuità fanciullesca. E questo rimanda a un altro argomento che sembra stare a cuore a Nolan.

Sono infatti i più “innocenti” a venerare il mito di Batman, e sono gli innocenti, udite udite, ad avere capito, come se fosse la cosa più naturale di questo mondo, chi sia veramente. Curioso il fatto che solo bambini e cattivi comprendano una verità così ovvia, avvalorata tra l'altro dalla contemporanea sparizione dalla scena pubblica di Batman e Wayne.

D'altra parte sarà in un altro momento cruciale del film che proprio attingendo alla parte più fanciullesca della sua anima che Wayne comincerà la sua risalita (non solo metaforica!), che lo metterà poi nelle condizioni di affrontare e sconfiggere i suoi demoni e i suoi avversari.

I personaggi principali di Il Cavaliere Oscuro - Il ritorno

Sembra quindi che Nolan accosti, anche a costo di rimanere nello stereotipo, l'infanzia all'innocenza. E come un bambino sembra che Nolan adori i poliziotti, visto che anche loro vivono nel mito di Batman tanto quanto gli infanti. Tanto che sono riluttanti a buttarsi al suo inseguimento e lo fanno solo per ubbidire agli ordini dei superiori.

Bambini innocenti e poliziotti buoni che mangiano ciambelle. È questa l'America di Nolan? La bandiera statunitense strappata sventola in alcuni momenti cupi, ma è ancora per il regista londinese un simbolo di speranza? Forse no, visto che questi innocenti subiranno il peggiore dei pericoli proprio da quell'esercito che dovrebbe proteggerli.

Si perché comunque Nolan buttà lì, urlato e sottolineato, un altro interessante tema, che poi si ricollega alla contrapposizione giustizia-legge. Le organizzazioni sono un vincolo o un aiuto?

La risposta non è univoca. Gordon è uomo di organizzazioni, non un solitario. Ma altri personaggi, e non solo Batman, sentono che il muoversi in gruppo li lega, anche se poi hanno bisogno di alleati. Il tema è interessante peccato Nolan lo svolga in modo didascalico.

D'altra parte non ci sono intenzioni sottili nel film. Sottotesti in filigrana. Anche gli argomenti che evidenzio hanno lo scopo di caratterizzare i personaggi, l'ambientazione, e di fornire spunti per la costruzione di una storia che più che con il secondo film, ha molto in comune con il primo, visto che ne riprende in modo deciso parecchi fili pendenti.

Il fronte della coerenza narrativa scricchiola un po' in alcuni punti, e spero che non sia dovuto all'orribile doppiaggio, perché francamente la spiegazione di come uno dei personaggi ha capito che Batman Wayne siano la stessa persona è tirata per i capelli.

La perizia tecnica, la fotografia e il montaggio rendono tecnicamente il film una festa per gli occhi e se dimentichiamo la significatività e la universalità del secondo episodio, riusciamo a incasellare questo film nel suo giusto posto, ossia un buon prodotto di genere, il cui ritmo non annoia, da vedere assolutamente in sale cinematografiche tecnicamente all'avanguardia.

Archiviata questa trilogia, che contiene al suo interno uno dei film più belli della storia del cinema, Nolan potrà ritrovare lo stato di grazia che ha avuto anche in Memento, Inception o The Prestige. Per il capolavoro ci saranno altre occasioni.

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