Titolo originale: Malavita (The Family) - Cast: Robert De Niro, Michelle Pfeiffer, Tommy Lee Jones, Dianna Agron, John D’Leo. Prodotto da Virginie Besson-Silla. Produttore esecutivo Martin Scorsese. Sceneggiatura di Luc Besson e Michael Caleo (dall'omonimo romanzo di Tonino Benacquista edito da Ponte alle Grazie). Regia di Luc Besson. Distribuito da Eagle Pictures - 111'

Cose nostre - MalavitaSe c'è un seguito ideale di “The Good Fellas” (“Quei Bravi Ragazzi”) di Martin Scorsese è proprio “Malavita” (mi perdonerete se ometto l'orribile aggiunta italiana al titolo originale) di Luc Besson.
I collegamenti tra il film di Luc Besson e quello di Scorsese (qui produttore esecutivo) sono parecchi.
Come il film di Scorsese “Malavita” è tratto da un romanzo, omonimo, scritto da Tonino Benacquista, il quale nel libro ringrazia all'inizio Nicholas Pileggi, l'autore di “Il delitto paga bene” libro che è una delle fonti al quale Scorsese ha attinto per il suo film, ispirato anche alla vita del pentito Henry Hill.
In effetti domandarsi “cosa accade ai pentiti nella loro nuova vita” non è affatto peregrino.
L'incipit per esempio, in perfetto e teso stile thriller mostra subito quello che succede quando la protezione viene meno.
Poi assistiamo al viaggio notturno dell'italo americano Fred Blake (Robert De Niro), insieme a sua moglie Maggie (Michelle Pfeiffer) e i loro figli Belle (Dianna Agron) e Warren (John D’Leo) verso la loro nuova casa in una minuscola località francese della Normandia, Cholong-sur-Avre (del tutto immaginaria). Qualcosa non va sin da subito. Perché la famiglia arriva di notte, di nascosto? Scopriremo subito che si tratta della famiglia di un pentito di Mafia, i cui componenti non riescono però a tenere quel basso profilo consigliato dall'FBI, e in particolare l'agente Tom Quintiliani (Tommy Lee Jones) che comanda la squadra che ha il compito di tenerli al sicuro.

È possibile che una famiglia chiaramente statunitense fino al midollo possa passare inosservata in un paese della provincia francese, dove il pregiudizio sugli “americani” è maggiore che nelle grandi città? Se poi i suoi componenti non fanno altro che mettersi nei guai, incendiando supermercati (la moglie), gestendo racket a scuola (il figlio Warren) e seducendo giovani professori (Belle) è chiaro che la convivenza con gli abitanti locali diventa problematica.
Così la difficoltà di adattarsi all'ennesimo cambiamento, i problemi dello scontro di mentalità, si aggiungono al problema sostanziale di tutti i componenti della famiglia: non sono abituati a risolvere le cose nella maniera delle persone “civili”.
Un idraulico cerca di imbrogliare papà Fred? Botte da orbi. Una ragazza rivale ruba l'astuccio a Belle? Picchiata a sangue. E così via.
Se per una vita sei stato abituato a concepire la violenza come modo di risoluzione dei problemi, puoi davvero cambiare mentalità? Questa sembra essere la domanda centrale del film, come del romanzo.
Fred, il cui vero nome è Giovanni Manzoni, è l'unico dei quattro che non dovrebbe uscire di casa, se non dietro autorizzazione, ma riesce trova un nuovo modo per passare il tempo: scrivere le sue memorie con una vecchia macchina da scrivere trovata tra le cianfrusaglie. La cosa gli attira le attenzioni preoccupate non solo del suo agente di protezione ma anche in alto, negli ambienti politici preoccupati dalle rivelazioni che il libro potrebbe contenere.
Inoltre, nel suo status di “scrittore” Fred viene persino invitato dai paesani a partecipare come ospite d'onore al cineforum locale, dove si proiettano film statunitensi, dando luogo a una esilarante gag di meta-cinema.
Il film partendo dalla black-comedy, a tratti molto divertente, arriverà anche all'action e a quei momenti di violenza esagerata, pieni di sparatorie ed esplosioni varie, a cui ci hanno abituato i film di Besson. Questo perché la Mafia non dimentica e in seguito a circostanze tutte da scoprire, il nucleo familiare, messo a dura prova dallo “scontro culturale” con i francesi, si ricompatterà quando dovrà affrontare un feroce commando di killer mandati dagli USA.
Non ci sono grosse differenze stavolta tra parola scritta e cinema. Nel film sono inventate alcune situazioni che rendono più esplicito, sin dall'incipit, il modo violento di risolvere le controversie di Fred ma, a parte questo, i rapporti familiari, i caratteri dei personaggi e lo scontro culturale sono già dentro il divertente romanzo. E nel libro, come nel film è presente un momento di meta-cinema, c'è un momento di meta-letteratura, nel quale possiamo leggere le memorie che Fred ha scritto.
Quello che emerge con molta chiarezza è la verità o la verosimiglianza di quanto leggiamo o vediamo al cinema.
Atteggiamenti e tic dei mafiosi italo-americani appaiono antropologicamente veritieri forse più nel libro che nel film, dove diventano quasi caricaturali. In realtà però è vero che i film di mafia, dal “Il Padrino” a “Scarface” a “The Good Fellas”, come profezie auto-avveranti, sono stati presi a modello da generazioni di delinquenti, che hanno cominciato ad assumere gli atteggiamenti dei modelli cinematografici. Un travaso che nel film vedrete in modo esplicito.
Robert De Niro non poteva che essere a suo agio nel ruolo, per il quale ha già in repertorio momenti come l'Al Capone di “Gli intoccabili” e appunto il “Jimmy Conway” del già nominato film di Scorsese, senza dimenticare il Sam "Asso" Rothstein di “Casinò”. In questo caso l'aggiunta sono i toni da commedia di “Un boss sotto stress” e “Mi presenti i tuoi?”. Insomma non poteva che essere perfetto per un personaggio scritto pensando a lui. Ma in parte sono tutti, da Michelle Pfeiffer ai due ragazzi, fino a Tommy Lee Jones, granitico ma non troppo. Perfetti i volti dei caratteristi.
Un film da vedere per aggiungere un nuovo capitolo alla ideale storia della Mafia italo-americana raccontata dal cinema.