Rave di MorteLa premessa doverosa è che vi rivelerò troppo di questo libro. Siete avvertiti. Ma non riesco a non parlarvene senza mettere in luce parti della storia.

Più che di un romanzo, in tutta onestà, si potrebbe parlare di una raccolta di racconti.

Il romanzo è come se fosse articolato su tre diverse parti, che da sole, non fosse per il fatto di avere lo stesso protagonista e un personaggio che ricorre nel terzo, potrebbero essere autonome.

Nella prima parte il giornalista musicale Les Peels riesce in modo fraudolento a rubare la registrazione del nuovo disco della cantante Yorki Amor.

Ma come nelle fotografie di Blow Up viene scoperto un delitto, Les ascolta gli inequivocabili suoni di evento delittuoso. Verrà coinvolto e schiacciato dallintrigo e accusato a sua volta di un omicidio che non ha commesso. A fare da sfondo è una ambientazione dominata dalle multinazionali, come la Sonar, proprietaria del disco, i cui interessi soverchiano persino quelli degli stati, figuriamoci delle persone. Un mondo maledettamente simile al nostro, dove il concetto di Stato canaglia è stato sostituito da quello di “quartiere canaglia”. E qui si potrebbe chiudere la vicenda. Ottima la scelta dellautore di non mostrarci inutili pagine di un dibattimento processuale che sarebbe stato fine a sé stesso. Ora dirò le parolacce, scusatemi, ma tutto questo mi ha ricordato, mutatis mutandis, Rapporto di Minoranza, di Dick, nella sua versione letteraria ovviamente, dove il protagonista soccombeva, vittima del sistema di cui era garante.

Ma la vicenda del protagonista prosegue, in una prigione che è la città di Detroit. E se mi state per fermare dicendo, “ma questa dove lho sentita”, è lo stesso autore che lascia dubbi. La citazione è esplicita, 1997 Fuga da New York centra. Ottimo il modo in cui lautore ce ne giustifica la presenza, a pagina 81

[...] il Commissario Federale della Sicurezza Nazionale, grande cinefilo, ha avuto lidea di trasformare lintera zona urbana in penitenziario di massima sicurezza[...]”

La responsabilità non è quindi dellautore ma del burocrate da lui immaginato, che ha realizzato la citazione definitiva. E una parte angosciante, non scritta affatto male, che sembra però pascersi troppo di sangue, membra e membri, olio di macchine, innesti cyborg e vischiose poltiglie di “carne-tallo” cronenberghiano.

E anche qui, con il disperato tentativo del protagonista di sopravvivere, sarebbe potuto finire il racconto. Finora Les non ci ha fatto una gran bella figura, dobbiamo ammetterlo. Spostato a destra e a manca dagli eventi e dal suo autore, sembra proprio un poveraccio qualsiasi. Uno di noi forse. Non possiamo negarlo. Ma forse anche troppo.

Un deus ex machina discutibile salva Les. Alla fine della notte degli orrori, arrivano in prigione i reclutatori dellesercito USA che in cambio della libertà offrono ai prigionieri di combattere nellennesima campagna irachena. Quando si dice “avere più c... che anima".

Durante la fase di addestramento un efficace dialogo tra il protagonista e un personaggio femminile apparso prima risolve brillantemente il problema dello “spiegone” necessario a circa tre quarti della trama. Il momento nel quale il romanziere navigato fa il punto della situazione e annuncia al lettore che sta cominciando la discesa verso il finale.

Il nostro pupazzo, assieme agli altri pupazzi, diventa quindi un aerotrasportato milite (potremmo immaginarci gli elicotteri di Apocalypse Now o di centinaia di altri film), che subisce il destino di essere però anche cavia di laboratorio. Una musica, che per contrappasso ha proprio composto Les, diffusa nelle teste dei soldati ha leffetto di drogarli e di eccitarli oltre ogni misura, facendoli diventare sanguinosissime macchine da guerra.

Non che in fondo la razza umana non sia stata capace di compiere misfatti senza aiuto.

Le scene di orrore descritto, per quanto possano sembrare parossistiche e compiaciute, sono abbastanza in linea con la moderna iconografia delle “sporche guerre”. Quindi anche qui abbiamo sbudellamenti e stupri dordinanza. E la guerra baby, non puoi farci niente.

Anche il finale dellultima parte, finale dei finali si potrebbe dire, chiude il cerchio nellunico modo logico possibile.

Concludendo tre episodi in qualche modo incollati da scene di raccordo e da un sottile filo rosso, riescono a comporre un romanzo?

Tutto sommato si, anche se discontinuo e non completamente bene amalgamato, ma rappresenta una base da cui partire, perché idee lo scrittore ne ha, e in ogni caso sa come metterle su carta. Se è vero che questa è la sua prima prova su questa lunghezze, egli sembra conoscere i trucchi dellesperto romanziere. I casi sono due, ottimo editing o innato talento. O una miscela di entrambe le cose. Il risultato finale è un romanzo breve, che non indugia in una serie di descrizioni che sarebbero ridondanti visto che liconografia a cui attinge è fin troppo presente fra noi. Scorrevole nella lettura, riesce a non farci incagliare anche nelle parti che allapparenza potrebbero risultare ostiche. Non indugia, non gira mai a vuoto. Ma ci porta da un punto allaltro come una pallina da flipper nello stesso modo in cui fa con il protagonista, disturbandoci a volte, trascinandoci furiosamente dal punto A al punto B, ma accompagnandoci senza noia fino alla fine.


Mario Gazzola, Rave di Morte

Ugo Mursia - Pagine 176 - Euro 12,00
EAN 978-88-425-4088-5