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Film: Cose Nostre - Malavita

Titolo originale: Malavita (The Family) - Cast: Robert De Niro, Michelle Pfeiffer, Tommy Lee Jones, Dianna Agron, John D’Leo. Prodotto da Virginie Besson-Silla. Produttore esecutivo Martin Scorsese. Sceneggiatura di Luc Besson e Michael Caleo (dall'omonimo romanzo di Tonino Benacquista edito da Ponte alle Grazie). Regia di Luc Besson. Distribuito da Eagle Pictures - 111'

Cose nostre - MalavitaSe c'è un seguito ideale di “The Good Fellas” (“Quei Bravi Ragazzi”) di Martin Scorsese è proprio “Malavita” (mi perdonerete se ometto l'orribile aggiunta italiana al titolo originale) di Luc Besson.
I collegamenti tra il film di Luc Besson e quello di Scorsese (qui produttore esecutivo) sono parecchi.
Come il film di Scorsese “Malavita” è tratto da un romanzo, omonimo, scritto da Tonino Benacquista, il quale nel libro ringrazia all'inizio Nicholas Pileggi, l'autore di “Il delitto paga bene” libro che è una delle fonti al quale Scorsese ha attinto per il suo film, ispirato anche alla vita del pentito Henry Hill.
In effetti domandarsi “cosa accade ai pentiti nella loro nuova vita” non è affatto peregrino.
L'incipit per esempio, in perfetto e teso stile thriller mostra subito quello che succede quando la protezione viene meno.
Poi assistiamo al viaggio notturno dell'italo americano Fred Blake (Robert De Niro), insieme a sua moglie Maggie (Michelle Pfeiffer) e i loro figli Belle (Dianna Agron) e Warren (John D’Leo) verso la loro nuova casa in una minuscola località francese della Normandia, Cholong-sur-Avre (del tutto immaginaria). Qualcosa non va sin da subito. Perché la famiglia arriva di notte, di nascosto? Scopriremo subito che si tratta della famiglia di un pentito di Mafia, i cui componenti non riescono però a tenere quel basso profilo consigliato dall'FBI, e in particolare l'agente Tom Quintiliani (Tommy Lee Jones) che comanda la squadra che ha il compito di tenerli al sicuro.

È possibile che una famiglia chiaramente statunitense fino al midollo possa passare inosservata in un paese della provincia francese, dove il pregiudizio sugli “americani” è maggiore che nelle grandi città? Se poi i suoi componenti non fanno altro che mettersi nei guai, incendiando supermercati (la moglie), gestendo racket a scuola (il figlio Warren) e seducendo giovani professori (Belle) è chiaro che la convivenza con gli abitanti locali diventa problematica.
Così la difficoltà di adattarsi all'ennesimo cambiamento, i problemi dello scontro di mentalità, si aggiungono al problema sostanziale di tutti i componenti della famiglia: non sono abituati a risolvere le cose nella maniera delle persone “civili”.
Un idraulico cerca di imbrogliare papà Fred? Botte da orbi. Una ragazza rivale ruba l'astuccio a Belle? Picchiata a sangue. E così via.
Se per una vita sei stato abituato a concepire la violenza come modo di risoluzione dei problemi, puoi davvero cambiare mentalità? Questa sembra essere la domanda centrale del film, come del romanzo.
Fred, il cui vero nome è Giovanni Manzoni, è l'unico dei quattro che non dovrebbe uscire di casa, se non dietro autorizzazione, ma riesce trova un nuovo modo per passare il tempo: scrivere le sue memorie con una vecchia macchina da scrivere trovata tra le cianfrusaglie. La cosa gli attira le attenzioni preoccupate non solo del suo agente di protezione ma anche in alto, negli ambienti politici preoccupati dalle rivelazioni che il libro potrebbe contenere.
Inoltre, nel suo status di “scrittore” Fred viene persino invitato dai paesani a partecipare come ospite d'onore al cineforum locale, dove si proiettano film statunitensi, dando luogo a una esilarante gag di meta-cinema.
Il film partendo dalla black-comedy, a tratti molto divertente, arriverà anche all'action e a quei momenti di violenza esagerata, pieni di sparatorie ed esplosioni varie, a cui ci hanno abituato i film di Besson. Questo perché la Mafia non dimentica e in seguito a circostanze tutte da scoprire, il nucleo familiare, messo a dura prova dallo “scontro culturale” con i francesi, si ricompatterà quando dovrà affrontare un feroce commando di killer mandati dagli USA.
Non ci sono grosse differenze stavolta tra parola scritta e cinema. Nel film sono inventate alcune situazioni che rendono più esplicito, sin dall'incipit, il modo violento di risolvere le controversie di Fred ma, a parte questo, i rapporti familiari, i caratteri dei personaggi e lo scontro culturale sono già dentro il divertente romanzo. E nel libro, come nel film è presente un momento di meta-cinema, c'è un momento di meta-letteratura, nel quale possiamo leggere le memorie che Fred ha scritto.
Quello che emerge con molta chiarezza è la verità o la verosimiglianza di quanto leggiamo o vediamo al cinema.
Atteggiamenti e tic dei mafiosi italo-americani appaiono antropologicamente veritieri forse più nel libro che nel film, dove diventano quasi caricaturali. In realtà però è vero che i film di mafia, dal “Il Padrino” a “Scarface” a “The Good Fellas”, come profezie auto-avveranti, sono stati presi a modello da generazioni di delinquenti, che hanno cominciato ad assumere gli atteggiamenti dei modelli cinematografici. Un travaso che nel film vedrete in modo esplicito.
Robert De Niro non poteva che essere a suo agio nel ruolo, per il quale ha già in repertorio momenti come l'Al Capone di “Gli intoccabili” e appunto il “Jimmy Conway” del già nominato film di Scorsese, senza dimenticare il Sam "Asso" Rothstein di “Casinò”. In questo caso l'aggiunta sono i toni da commedia di “Un boss sotto stress” e “Mi presenti i tuoi?”. Insomma non poteva che essere perfetto per un personaggio scritto pensando a lui. Ma in parte sono tutti, da Michelle Pfeiffer ai due ragazzi, fino a Tommy Lee Jones, granitico ma non troppo. Perfetti i volti dei caratteristi.
Un film da vedere per aggiungere un nuovo capitolo alla ideale storia della Mafia italo-americana raccontata dal cinema.

Film: Giovani Ribelli (Kill your Darlings)

Un film di John Krokidas. Con Daniel Radcliffe, Dane DeHaan, Michael C. Hall, Ben Foster, Jack Huston, Jennifer Jason Leigh, John Cullum. Biografico - 143 min. - USA 2013. - Distribuito da Notorious

Kill-Your-DarlingsGiovani Ribelli” (“Kill your Darlings”) è la storia di quando Allen Ginsberg (Daniel Radcliffe), Jack Kerouac (Jack Huston) e William Burroughs (Ben Foster) erano “piccoli” e si ritrovarono coinvolti in una vicenda da cronaca nera.
New York 1944, Allen Ginsberg è appena stato ammesso alla Columbia University e fa la conoscenza del “bello e impossibile” Lucien Carr (Dane DeHaan), legato sia affettivamente a David Kammerer (Michael C. Hall) che in modo misterioso. Frequentando Carr il giovane Allen conosce Burroughs, che aveva abbandonato gli studi di medicina per una vita da tossicodipendente mantenuto dalla ricca famiglia, e Jack Kerouac, di nuovo vicino agli ambienti universitari dopo aver tentato di arruolarsi in Marina.

Il film vorrebbe raccontare parimenti due vicende: la nascita della Beat Generation, passando per la formazione dei tre scrittori, la loro ribellione ai rigidi schemi imposti dall'Università e della conseguente ricerca nuove forme di espressione per l'arte letteraria; la vicenda a toni noir che vide Lucien Carr uccidere Kammerer, fonte di ispirazione indiretta per “La città e la metropoli” di Kerouac e poi rievocato più direttamente in “E gli ippopotami si sono lessati nelle loro vasche”, scritto a quattro mani da Kerouac e Burroughs.
John Krokidas, regista e co-sceneggiatore insieme ad Austin Bunn fondono quindi il racconto dell'esperienza universitaria, dal punto di vista del giovane Ginsberg, a quello della sua educazione sentimentale e della scoperta della omosessualità, per poi arrivare al delitto passionale, con i toni del thriller. Ne viene fuori un film disomogeneo, che mantiene coerente solo la lucida capacità di gestire al meglio il budget, con un film che mette NY su uno sfondo sfocato perché non è possibile ricostruire in esterni gli anni '40, esaltando quindi i primi e i primissimi piani, gli scambi di sguardi e i chiaroscuri, con pochi movimenti di macchina.

Lo stile visivo da film indipendente però cozza con la scelta di non pigiare eccessivamente sul ruolo che le droghe ebbero nell'esperienza creativa. Non basta una scena che evoca Ginsberg nudo alla macchina da scrivere a rendere l'idea, ma serve a dare il bollino di produzione “trasgressiva” tanto quanto si autodefiniscono “verdi” quei prodotti da supermercato realizzati con l'1% in meno di carta.
Gratta gratta, così come scopriamo che il finto prodotto “a basso impatto ambientale” tale non è, in questo caso la scelta di casting tradisce la chiara intenzione di sfondare sul mercato con un finto cult.
Daniel Radcliffe, divo bambino che cerca con convinzione di togliersi l'aura da eterno maghetto che i film di Harry Potter gli hanno dato. Jack Huston, ultimo rampollo di una stirpe cinematografica prestigiosa, tra i protagonisti di “Boardwalk Empire”. Micheal C. Hall, protagonista del serial “Dexter”. Ben Foster e Dane Dehaan sono forse gli unici che hanno una carriera che li ha visto alternarsi tra il mainstream e l'indipendente e sono infatti i più bravi del gruppo. Anzi direi che proprio il William Burroughs di Foster è il personaggio più interessante, per quanto di secondo piano nella vicenda, perché approcciato con una recitazione che lo rende autentico, un vero trasgressore allucinato nascosto in panni borghesi, inquietante. De Haan è l'altro faro del film e si conferma molto bravo, facendo letteralmente sparire Radcliffe, che è oscurato anche da Jennifer Jason Leigh, nel ruolo di sua madre, Naomi Ginsberg, molto brava nella sempre difficile intepretazione di una malata di mente.

Un tema che avrebbe potuto rendere interessante il film rimane involuto. Ossia la differenza che passa tra chi ha una visione, una idea che fa la differenza, e i suoi contemporanei, incapaci di vedere nella stessa direzione per limiti oggettivi.
Il conflitto tra gli studenti e l'establishment universitario, rappresentato dal Professor Steeves (il bravo caratterista John Cullum, indimenticato Holling Vincoeur di “Northern Exposure”), rimane la protesta fine a se stessa di un gruppo di ragazzacci che essenzialmente non vuole studiare, per dedicarsi ad alcool, sesso e droga. Il fermento creativo e culturale non emerge con la chiarezza aspettata, o se affiora è giusto per quel paio di citazioni che anche i “tuttologi da salotto” sanno sfoggiare.
Un film finto come una moneta da tre euro. Da evitare.

 

Man of Steel poster

Man of Steel, ovvero ciccioli di recensione

Man of Steel posterQualche mese fa avrei dovuto recensire Man of Steel di Zack Snyder. Dovuto. Parola grossa. Diciamo che di fronte a una mia prima impressione negativa del film, mi è stato chiesto di esprimermi con più chiarezza sulle mie perplessità. Dopo qualche mese dall'uscita del film, distratto da altre incombenze, non ho ritenuto veramente più opportuno recensirlo, bensì riflettere su alcuni eventi che hanno caratterizzato la stagione cinematografica. In particolare ai veri e propri eventi scismatici che hanno diviso il fandom di recente. Ossia Star Trek: Into Darkness, secondo film di J.J. Abrams dedicato all'universo creato da Gene Roddenberry  e appunto Man of Steel. Ne è venuto fuori un articolo per FantasyMagazine, che trovate a questo link.

In realtà qualche cosa da dire l'avrei, e anci l'avevo pure scritta a suo tempo. Trattandosi di deliri allo stato puro avrei dovuto risparmiare i 3-4 lettori giornalieri di questo blog (che ci vengono a fare se non l'aggiorno da maggio dico io? mah). Ma siccome ora ho voglia di riaprire il blog, ecco che faccio come si fa con il maiale, non si butta niente, vi sottopongo i ciccioli della mia recensione che non fu.

Se non sapete cosa sono i ciccioli sappiate che "sono un prodotto alimentare ottenuto dalla lavorazione del grasso presente nel tessuto adiposo interno del maiale nella preparazione dello strutto." (fonte Wikipedia)

Una vera schifezza, con una densita calorica per grammo paragonabile a una supernova. La prima volta che li ho mangiati li ho scambiati per patatine o similia e penso di avere immesso nel mio organismo l'intero fabbisogno calorico di un piccolo stato.

Questo per dirvi che le riflessioni che seguono sono parti di risulta, grezze e un po' indigeste.

Quella che enuncerò in questo articolo, mi dispiace per voi che leggete, non è la mia opinione, influenzata dal gusto, dalle mie attitudini e aspettative, oggettivamente soggettiva come tutte le opinioni devono essere. Oggi, come un bravo PUV (Se non sapete cosa è un PUV rileggetevi il mio articolo su Fantasymagazine).

No, questa è la verita sul perché Man of Steel poteva essere un bel film invece non lo è. Lettori avvisati.

L'esordio del film è l'origine del personaggio. Il pianeta Krypton è condannato. È un mondo la cui società è in decadenza. Dopo aver esplorato le stelle, ha perso ogni stimolo, cominciando a praticare l'eugenetica, imponendo nascite artificiali, codificando il DNA di ciascun abitante in un preciso compito. Jor-El, non si capisce quando segretamente, ha concepito con sua moglie Lara un figlio biologico, senza programmazione. In realtà però per il figlio uno scopo ce l'ha anche lui, visto che lo vuole destinare dall'imminente disastro che sta per coinvolgere il pianeta.

Lo sconsiderato attingere, al fine dello sfruttamento energetico, al nucleo del pianeta, ha fatto sì che questo stia per collassare, distruggendo il pianeta.

Nonostante il consiglio degli anziani di Krypton gli creda, è fatalmente rassegnato a tale destino, tanto da provocare le ire del Generale Zod, comandante in capo delle forze armate, programmato geneticamente per attuare tutte le strategie possibili per salvare il pianeta o i suoi abitanti.

Jor-El ha un piano: spedire il figlio sul lontano pianeta Terra, la cui struttura lo doterà di poteri superiori a quelli dei suoi abitanti e, insieme a lui, spedire il corredo genetico di Krypton, per farlo rivivere lì mescolato agli umani. L'idea piace a Zod, ma vorrebbe essere lui a volare sulla nello spazio con tale codice genetico, per salvare la razza kryptoniana e magari rifondare il pianeta per com'è.

I due si scontrano e, nonostante che Zod riesca a uccidere Jor-El, questi riesce a spedire il pargolo sulla Terra, dando il tempo al consiglio dei kryptoniani di arrestare Zod.

Il passaggio successivo suscita parecchie perplessità: nel bel mezzo della catastrofe imminente, con un pianeta ormai condannato, c'è ancora il tempo di processare e punire Zod e i suoi accoliti spedendoli nella Zona Fantasma, salvandogli in pratica la vita, pur condannandoli a un oblio eterno.

Qualcuno potrà dirmi, e mi ha detto, che sto valutando questa decisione con parametri umani. I kryptoniani sono alieni, pertanto fanno quello che gli aggrada, non quello che farebbe qualunque umano sano di mente. Il passaggio non mi convince lo stesso. Tutto sommato quello che alla fine emerge che qualche punto di contatto tra umani e kryptoniani c'è. Sono entrambi primati e senzienti. E quindi la loro alienità non chiude del tutto il cerchio.

Frenetica, piena di scene d'azione veloci, questa introduzione coinvolge visivamente, dà modo a Russell Crowe di trasformare Jor El in un action hero, lasciando intuire da chi il futuro Superman erediterà le sue caratteristiche eroistiche. Ci si chiede per un momento come sia possibile che Jor El abbia rotto la sua programmazione originale di scienziato e sia diventato così abile nel combattimento. Ma le storie interessanti non sono mai quelle di chi si adegua alla massa, ma di quei singoli che, per fortuna, abilità o incidente, fanno la cosa sbagliata al momento sbagliato. Di singoli che rappresentano l'eccezione. Preoccupa il fatto che Jor El sia stato così caino da fare soffrire a sua moglie le pene del parto naturale quando, dopo aver concepito il pargolo, avrebbe potuto semplicemente coltivare l'embrione e spedirlo sulla Terra. Ma tanto mica lo ha portato lui in grembo per nove mesi il piccolo, solo per soddisfare l'ego del marito e farlo sentire un dio.

Insomma la scelta di fondo è: Jor El è un bastardo, non meno motivato di Zod nel suo scopo, ma più sottile.

L'estetica del pianeta Krypton è tardo futurista. Ricorda Flash Gordon, Metropolis e un po' Moebius, specialmente quando Jor El cavalca un gigantesco volatile invece di un aereo. Come spesso accade, è una gara a chi ha l'uccello più grande. Tra l'altro, è chiaro che su Krypton la battaglia tra LCD ed E-Ink sia stata vinta dal secondo, addirittura in versione 3D. Ma quale razza di scienza avanzatissima crea dei display meno avanzati di un cellulare dei "primitivi" terrestri?

E poi che c'azzecca l'estetica da realismo socialista sovietico?

Dopo la distruzione di Krypton il film salta a Clark Kent, ormai adulto, che lavora in un peschereccio sotto falsa identità. Il suo scopo sarebbe quello di passare inosservato, ma non è facile se non si sta un po' attenti. Per esempio, la sua invulnerabilità lo ha reso distratto, ma visto che chi ha intorno non lo sa, ecco che rischia la vita per salvarlo da un possibile pericolo. Non va Kal, non va. Hai i super-sensi. Usali.

Le scene in flashback però mirano a fare comprendere perché Clark sia arrivato lì.

Sin da piccolo ha avuto problemi a gestire i suoi poteri. Rumori, odori, visioni a raggi X invasive. Come può resistere un bambino a tanti stimoli? Come si può impedirgli di massacrare i bulletti che lo perseguitano? Ma' Kent ha la soluzione. Focalizzare il punto, concentrarsi su quello che si vuole vedere o sentire. Non è un grande addestramento, ma funziona. Forse.

Ma se poi ti ritrovi in pulmann che sta affondando con tutti i tuoi compagni di scuola? Non usi il tuo potere e li salvi d'istinto? Ecco che però Pa' Johnathan s'arrabbia, ovviamente, perché ti sei fatto vedere. Che due palle.

Ok, ora vi aspettereste un'analisi dettagliata del resto. Ma i ciccioli sono finiti.

Completo però il ragionamento. L'alternanza tra presente e passato potrebbe anche reggere. Ma quello che mi ha annoiato di Man of Steel è l'indecisione stilistica, incerta tra mainstream e finto indie.

Mi dispiace poi per gli estimatori di Hans Zimmer, ma non si può reggere una colonna sonora su due note.

Senza dilungarmi troppo, perché se no tutto diventa una vivisezione, le palle a terra mi sono cadute in un paio di occasioni.

1) La morte di Pa' Kent. Va bene tutto, va bene che Clark è inesperto, che non vuole dispiacere al Papà, ma ci sono momenti in cui te ne fotti altamente delle regole, e una di queste è quando vedi tuo padre che sta per morire. Se sai di poterlo fare ci provi. Punto. E la tensione drammatica non scatta. Non scatta in quella scena il patto con lo spettatore per il quale credo che Clark non abbia seguito il suo istinto.

2) Distruzioni a go-go. Ok, i Kriptoniani sono cattivi. Distruggono Smallville solo per cercare il maledetto figlio di Jor El. Distruggono un fottio di grattacieli a Metropolis per lo stesso motivo. Però questo non basta a scatenare l'impulso distruttivo di Kal. No. Deve vedere un paio di sfigati, poveretti, minacciati direttamente dal laser di Zod perché Superman si decida a fare l'unica cosa realistica da fare. Uccidere il suo nemico perché in guerra non si fanno prigionieri, specialmente se il tuo nemico voleva compiere un genocidio e ha già parecchie migliaia di morti al suo attivo.

3) Avevo detto 2? Forse sono anche di più. Come cavolo rendono credibile che uno sfigato aeroplano superi le difese di una nave kryptoniana, protetta da supertizi con superpoteri? Quell'aereo, destinato letteralmente a stuprare l'astronave di Krypton, visto che porta con se il fallo gigante con cui Kal è arrivato sulla terra, non doveva avere speranze. Non aveva fuoco di copertura. Anche qui il patto di incredulità non scatta. Però alla fine i rozzi terrestri stuprano i Kryptoniani con lo stesso equivalente di una cerbottana contro un missile nucleare. Mah.

4) Di falli giganti è piena Krypton. Ma non l'ho notato solo io questo particolare. Per cui non dico nulla di nuovo. Mi sembra una ossessione compensativa. Non so.

5) Un passo indietro. Lo slug-fest, ovvero la scazzottatona finale tra Superman e Zod dura TROPPO. Alla ventesima volta in cui hanno usato l'effetto speciale del corpo che attraversa un grattacielo da parte a parte nessuno ha preso da parte Snyder per dirgli: "ma non stiamo esagerando? Hanno capito che sono due cazzutissimi kryptoniani che se menano di brutto".

 

Insomma Zack Snyder, per me hai toppato alla grande. Man of Steel è di una bruttura cosmica. Immotivato nelle sue ragioni di fondo. Ridondante dal punto di vista della costruzione cinematografica. Una ciofeca insomma, detto tecnicamente.

 

 

Film: Confessions

ConfessionsConfessions (Kokuhaku) - Drammatico - Giappone 2010 - Regia di Nakashima Tetsusya Sceneggiatura: Nakashima Tetsuya dal romanzo di Minato Kanae - Interpreti: Matsu Takako, Okada Masaki, Kimura Yoshino - Fotografia: Ato Shoichi, Ozawa Atsushi - Montaggio: Koike Yoshiyuki - Colonna sonora: Toyohiko Kanahashi - Scenografia: Nishio Tomomi - Luci: Takakura Susumu - Produttore: Kawamura Genki, Ishida Yuji, Suzuki Yutaka, Kubota Yoshihiro
Produttore esecutivo: Minami Ichikawa - Durata: 106 ' - Distribuito da Tucker Film

 

 

Non dovreste leggere le sinossi o le anticipazioni sulla trama di Confessions, vi dicono veramente più di quanto sia necessario.

Il migliore approccio è non sapere nulla della storia, dei personaggi, scoprendo tutto man mano che le “confessioni” mettono in luce l'intreccio di tragedie umane narrato dal film.

Una lezione che inizia come le tante che la professoressa Yuko Morigochi ha tenuto alla sua classe scuola media è solo l'inizio lento dell'esposizione di uno spaccato di vita che esplode in modo dirompente.

Ci sono morti, delitti, tutto il senso e il non senso del rapporto tra la vita e la morte, tra la logica e l'illogica. Impossibile fermarsi su un tema e dire quale sia il più pregnante. Tutto ha senso, ogni particolare, ogni singola parola degli efficaci dialoghi, ogni fotogramma.

È un film da seguire con grande attenzione, non un facile intrattenimento quello che vi aspetta.

Il rapporto tra genitori e figli, tra insegnanti e allievi è sicuramente un tema portante. La gestione del contatto umano in una scuola in cui il politicamente corretto ha provocato più danni che benefici è lambito, ma non è fulcro della vicenda. Più che altro diventa uno strumento narrativo in momenti chiave.

I colpi di scena sono logici una volta rivelati, ma non sono mai prevedibili. Come tutte le idee geniali diventano le uniche idee possibili solo dopo che ne siamo stati edotti.

Impotenza di fronte a ciò che accade è una parola chiave che mi trova d'accordo. Vorremmo fare in modo che le cose siano diverse, ma non possiamo. Rimaniamo spettatori a cui rimane solo di fare tesoro dell'esperienza nella propria vita.

Tutto questo senza che il film sia moralista o didattico. La migliore lezione è quella che non sembra tale. Non siamo davanti a un documentario sociologico sulla disgregazione del sistema scolastico e dei rapporti umani, ma i concetti espressi non risultano meno pregnanti.

Insomma siamo davanti a una di quelle volte in cui la narrazione assume significatività maggiore o uguale a quella di un saggio.

Ad aiutare l'esposizione della storia ci sono immagini di rara eleganza, le canzoni dei Radiohead e la musica dodecafonica, un montaggio geniale che è parte integrante della narrazione.

Gli attori sono tutti bravissimi, misurati anche quando le esigenze di storia portano sopra le righe, in una sola parola: credibili. La fotografia di Ato Shoichi e Ozawa Atsushi è pura poesia.
Nakashima Tetsusya si conferma uno dei registi giapponesi di maggiore talento, un astro in ascesa nella filmografia mondiale.

Recensione pubblicata anche su http://www.thrillermagazine.it/cinema/13908

 

 

Les Misérables, ovvero il trailer di un altro film

Il 31 gennaio 2013 esce nei cinema Les Misérables, film che è la trasposizione cinematografica del musical ispirato all'omonimo romanzo di Victor Hugo.

Ci sono 3 o 4 battute non cantate nel film. In questo trailer le prendono tutte, altre le inventano e non appare chiaro che le canzoni fanno parte della narrazione, anzi sembrano di sottofondo. Che la distribuzione italiana si spaventi di dire al pubblico che si tratta di un film musicale?

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