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Film: Ribelle - The Brave

Titolo originale Brave (USA 2012) Un film di Mark Andrews. Con le voci di Rossa Caputo, Anna Mazzamauro, Ugo Maria Morosi, Emanuele Rossi, Shel Shapiro, Enzo Iacchetti, Giobbe Covatta, Fabrizio Mazzotta  - Distribuito da Walt Disney

 

La verità è che l'ultimo film della Disney/Pixar è bello. Bellissimo.

Sin dall'incipit, che ha il giusto senso del ritmo. Un quadretto familiare apparentemente tranquillo. Nella Scozia medievale Re Fergus e della Regina Elinor e Merida, la loro figlia sembrano godersi un momento di quiete. Ma fuggendo dalle banaltià Merida non sta facendo giochi da maschio. Ha una passione sfrenata per il tiro con l'arco, e il papà la incoraggia regalandole una versione piccola, ma funzionante, dell'arma, con la disapprovazione della madre. Sì, c'è sempre un genitore accondiscendente, è vero.

Mentre Merida si addestra irrompe un enorme orso e l'incipit termina di netto mentre il padre si lancia verso l'animale per proteggere la famiglia.

Impossibile descrivere l'autentico tuffo al cuore che ho provato. È una questione di sfumature, bastava poco per narrare gli stessi eventi in modo meno pregnante, meno emozionante. Non so. Funziona.

Dopo il breve titolo di testa (i credits li vedremo tutti a fine film), ritroviamo Merida qualche anno dopo, adolescente. É diventata abilissima con l'arco, con la ovvia disapprovazione delle madre e l'orgoglio sotto i baffi del padre, che contro l'orso perse una gamba. Ha tre pestiferi fratellini gemelli, rossi anche loro di capigliatura, che ne combinano di tutti i colori.

La madre, sempre bellissima e altera, ha un piano per lei, darla in sposa a uno dei tre principi pretendenti, allo scopo di ricomporre un'antica faida e assicurare al regno la pace duratura.

Ovviamente alla ragazza di piegarsi alla ragion di stato non interessa proprio, e fugge dopo aver battuto, proprio al tiro con l'arco, gli improbabili pretendenti alla sua mano. Non è solo abile con l'arco la giovane, è anche abbastanza furba da interpretare nel modo giusto il regolamento del torneo. Ma forse non lo è così tanto quanto crede. Fuggita dopo aver litigato per l'ennesima volta con la madre, chiederà a una strega (citata pari pari dai film di Miyazaki), una magia che possa cambiare la madre in modo che non la costringa più a sposarsi.

Se è stata così furba a capire il regolamento del torneo, il suo furore e anelito di libertà non le faranno bene comprendere le conseguenze della magia che userà verso la madre che subirà una trasformazione imprevedibile.

Comincerà quindi la vera avventura di Merida, che dovrà salvare la madre dalla magia, il regno dalla guerra e se stessa da un destino che non le appartiene. Sarà un percorso di crescita che farà maturare madre e figlia e, ovviamente, il loro rapporto.

Saranno tante le emozioni che la sceneggiatura di Brenda Chapman e Irene Mecchi ci propone. La Chapman firna anche la regia, insieme a un altro veterano dell'animazione, Mark Andrews.

Ne viene fuori un film che riesce a toccare tutte le corde, dalla commedia a momenti horror che non fanno invidia alla vecchia Biancaneve, per lanciarsi nella pura avventura fantasy.

Mi dispiace spoilerare, ma qui non c'è nessun aspirante principe che impalmerà la bella. C'è il percorso di due donne, la giovane Merida e la madre Elinor, che impareranno ad ascoltarsi, e che mediante il percorso avventuroso troveranno la maniera più intelligente di risolvere la situazione, mentre i maschietti, diciamo la verità, fanno una mera figura, presi come sono a darsi cazzotti senza ragione, bere e gozzogovigliare.

Non che il re Fergus sia una figura di mero contorno, ma parliamoci chiaro, qui sono le donne a salvare la giornata, fosse per gli uomini non ci sarebbe stato rimedio ai guai.

 

Tecnicamente il film è talmente superbo da dare autentiche emozioni. Dalla camminata barcollante e tenera della Merida piccola, alla nervosa precisione della sua capigliatura adulta, agli stupendi paesaggi, sono tante le prove di autentica arte che il film propone.

 

Sceneggiatura intelligente, arte allo stato puro, cuore e tecnologia. Ribelle – The Brave è un'altra pietra miliare della produzione Disney/Pixar. Un capolavoro assoluto.

Ps. Ve lo dico casomai non lo sapeste Brave significa "coraggioso" e non "ribelle", ma pazienza. Non che Merida non si riveli più che una ribelle, ma se volete imparare l'inglese mediante le traduzioni dei titoli dei film è meglio che vi avvisi. In ogni caso ho visto anche un poster, che allego all'articolo, che accenna al vero significato della parola.

Film: Il Cavaliere Oscuro – Il Ritorno

The Dark Knight Rises, Stati Uniti, Gran Bretagna, 2012 - regia di Christopher Nolan - scritto da Jonathan Nolan, Christopher Nolan (su un soggetto di Christopher Nolan e David S. Goyer basato sui personaggi creati da Bob Kane e Bill Finger) - con Christian Bale, Michael Caine, Gary Oldman, Anne Hathaway, Tom Hardy, Marion Cotillard, Joseph Gordon-Levitt, Morgan Freeman - durata: 165 minuti - distribuito da Warner Bros. Pictures

 

Dopo Il Cavaliere Oscuro, secondo film della trilogia di Christopher Nolan, le aspettative per questo terzo e conclusivo capitolo erano e sono altissime. La struttura narrativa del film rischia inevitabilmente di fare mettere a confronto l'ultimo film con il precedente, ma preferirei evitare.

Il progetto di Nolan è però chiaro. Quella che ha messo in scena è una tragedia in tre atti, con vari temi affrontati, dalla vendetta alla profonda differenza tra legge e giustizia, passando per il racconto della tragedia umana di Bruce Wayne, che indossa la maschera del giustiziere per espiare il senso di colpa dovuto alla morte dei genitori, dei quali si rende responsabile. Il terzo capitolo aggiunge altri temi a questo racconto, che è casualmente interpretato da personaggi che si chiamano come quelli del fumetto Batman.

Come un bambino che prende le sue action figures e fa interpretare loro delle storie, Nolan non ha narrato una precisa storia tratta dalla lunga vita editoriale del personaggio, ma oltre ad avere usato come maschere i vari personaggi, ha anche attinto ad alcuni di quei momenti per il racconto. Da Year One a The Dark Knight Rises fino a Knightfall (gioco di parole che indica sia la “caduta del cavaliere” ma anche data la pronuncia inglese “il calare della notte”).

Sono passati otto anni dagli eventi del secondo film. La grande bugia concordata da Batman e James Gordon (Gary Oldman) ha consentito alla città di sfuggire alla morsa del crimine organizzato, consentendo un periodo di prosperità senza pari. La commemorazione del giorno della morte di Harvey Dent è addirittura una festa per la città, che ricorda con devozione il suo più grande eroe, e con disprezzo colui che ritiene il suo assassino: Batman.

Gordon nasconde tutto il peso di quella verità, che vorrebbe rivelare al mondo. Nonostante la sua promozione a Commissario, è stato abbandonato dalla famigla, ed è sempre a un passo dal fare la grande rivelazione, che ha scritto di suo pugno, in una lettera che nessuno dovrebbe leggere mai.

Bruce Wayne (Christian Bale) dal canto suo dopo aver abbandonato la maschera di Batman, si è rinchiuso nel suo dolore per la perdita dell'amata Rachel, e vive in una zoppicante misantropia in una ala della Villa Wayne, senza vedere nessuno tranne la servitù.

In realtà nell'apparente pace di Gotham se tante sembrano le luci, i fasti e i sorrisi, molte sono le ombre. Molti si sono adagiati sugli allori, godendosi troppo il momento di pace. Le Wayne Enterprises stanno colando a picco per investimenti sbagliati e l'apparizione della ladra Selina Kyle (Anne Hataway, mai chiamata Catwoman in tutto il film), che deruba come un pivello il bolso Bruce Wayne della collana della madre e delle sue impronte digitiali, sembra essere l'inizio di un complotto che ha lo scopo di metterlo in ginocchio.

A manovrare contro Gotham è il cattivo annunciato, ossia Bane (Tom Hardy), che cerca di dissimulare i suoi propositi nichilisti con risibili motivazioni, come l'indignazione dei poveri nei confronti dell'alta finanza. In realtà è un delinquente, bravo a menare le mani, che recita come un pupazzo dei dialoghi improbabili. Probabilmente è un effetto voluto, visto che non solo Bane dietro la sua facciata da Masaniello d'oltreoceano ha un piano criminale, ma ha anche un burattinaio dietro le quinte.

Il Batwing

Due topoi classici della narrazione supereoistica come la “fall from grace” del protagonista, e l'”attacco alla città”, si mescolano quindi in una trama densa, pure troppo, nella quale non mancano scene da puro orgasmo nerd, come l'apparizione del Batwing, che rubano la scena a una Catwoman che vorrebbe essere erotica, ma che ha il volto della amica carina, della quale in teoria sei innamorato, ma alla quale alla fine non hai mai dichiarato il tuo sentimento, perché in fondo non ti piaceva abbastanza.

Tra confronti anche e soprattutto verbali (non è che poi i cazzottoni siano così tanti nel film), inseguimenti, esplosioni e situazioni di pericolo gli oltre 160 minuti del film scorrono. Quello che manca è il “prestige” a cui ci ha abituato (dovrei dire viziato) Nolan, quell'improvviso ribaltamento di prospettive, quel momento in cui ti rendi conto che pensavi di avere capito tutto e invece non avevi capito niente.  Trama e personaggi seguono l'arco narrativo intuito all'origine, fino alla fine. Non credo di avere avuto particolari intuizioni a capire dopo un paio di battute il ruolo nella vicenda del poliziotto Blake (Joseph Gordon-Levitt) o della miliardaria Miranda (Marion Cotillard). Ho la netta sensazione che Nolan urli allo spettatore il destino dei personaggio, come un antico tragediografo greco, il cui scopo non è sorprenderci con un colpo di scena, ma ammaliarci con il racconto di come la tragedia si compie.

Il declino economico delle Industrie Wayne che coincide con il declino morale della città è uno degli argomenti del film. L'orfanotrofio non ha più le necessarie sovvenzioni, pertanto i fondi che dovrebbero aiutare gli orfani, una volta raggiunti i sedici anni, ad inserirsi nel mondo, sono esauriti, così gli ex bambini diventano ladri, unendosi all'esercito sotterraneo di Bane, o poliziotti, come il giovane Blake, che però conserva ancora una certa ingenuità fanciullesca. E questo rimanda a un altro argomento che sembra stare a cuore a Nolan.

Sono infatti i più “innocenti” a venerare il mito di Batman, e sono gli innocenti, udite udite, ad avere capito, come se fosse la cosa più naturale di questo mondo, chi sia veramente. Curioso il fatto che solo bambini e cattivi comprendano una verità così ovvia, avvalorata tra l'altro dalla contemporanea sparizione dalla scena pubblica di Batman e Wayne.

D'altra parte sarà in un altro momento cruciale del film che proprio attingendo alla parte più fanciullesca della sua anima che Wayne comincerà la sua risalita (non solo metaforica!), che lo metterà poi nelle condizioni di affrontare e sconfiggere i suoi demoni e i suoi avversari.

I personaggi principali di Il Cavaliere Oscuro - Il ritorno

Sembra quindi che Nolan accosti, anche a costo di rimanere nello stereotipo, l'infanzia all'innocenza. E come un bambino sembra che Nolan adori i poliziotti, visto che anche loro vivono nel mito di Batman tanto quanto gli infanti. Tanto che sono riluttanti a buttarsi al suo inseguimento e lo fanno solo per ubbidire agli ordini dei superiori.

Bambini innocenti e poliziotti buoni che mangiano ciambelle. È questa l'America di Nolan? La bandiera statunitense strappata sventola in alcuni momenti cupi, ma è ancora per il regista londinese un simbolo di speranza? Forse no, visto che questi innocenti subiranno il peggiore dei pericoli proprio da quell'esercito che dovrebbe proteggerli.

Si perché comunque Nolan buttà lì, urlato e sottolineato, un altro interessante tema, che poi si ricollega alla contrapposizione giustizia-legge. Le organizzazioni sono un vincolo o un aiuto?

La risposta non è univoca. Gordon è uomo di organizzazioni, non un solitario. Ma altri personaggi, e non solo Batman, sentono che il muoversi in gruppo li lega, anche se poi hanno bisogno di alleati. Il tema è interessante peccato Nolan lo svolga in modo didascalico.

D'altra parte non ci sono intenzioni sottili nel film. Sottotesti in filigrana. Anche gli argomenti che evidenzio hanno lo scopo di caratterizzare i personaggi, l'ambientazione, e di fornire spunti per la costruzione di una storia che più che con il secondo film, ha molto in comune con il primo, visto che ne riprende in modo deciso parecchi fili pendenti.

Il fronte della coerenza narrativa scricchiola un po' in alcuni punti, e spero che non sia dovuto all'orribile doppiaggio, perché francamente la spiegazione di come uno dei personaggi ha capito che Batman Wayne siano la stessa persona è tirata per i capelli.

La perizia tecnica, la fotografia e il montaggio rendono tecnicamente il film una festa per gli occhi e se dimentichiamo la significatività e la universalità del secondo episodio, riusciamo a incasellare questo film nel suo giusto posto, ossia un buon prodotto di genere, il cui ritmo non annoia, da vedere assolutamente in sale cinematografiche tecnicamente all'avanguardia.

Archiviata questa trilogia, che contiene al suo interno uno dei film più belli della storia del cinema, Nolan potrà ritrovare lo stato di grazia che ha avuto anche in Memento, Inception o The Prestige. Per il capolavoro ci saranno altre occasioni.

Film: Princess Arete


Princess Arete (Arîte hime, Giappone 2001)
Regia: Sunao Katabuchi
Sceneggiatura: Sunao Katabuchi (dal romanzo di Diana Coles).
Voci: Houko Kuwashima, Tsuyoshi Koyama, Minami Takayama
Musiche: Akira Senju
Prodotto da Studio 4°C
Durata: 105'

 

Princess Arete comincia come una interessante variazione sul tema della principessa nel castello.
All'inizio della storia è rinchiusa nella sua torre. C'è una gara nel suo regno per aggiudicarsi la sua mano. Cavalieri da ogni dove tornano con magici manufatti, nella speranza di trovare quello che li rende degni di essere sposi reali.
Sin da subito ci accorgiamo che qualcosa non va. Arete non attende passivamente che il principe azzurro arrivi a bussare alla sua finestra, anzi, tramite un passaggio segreto compie frequenti gite fra la gente “normale”, affamata di vita reale e non “Reale”.
Ma queste fughe non sono l'unico elemento a non essere “canonico” nel film. Chi sono i misteriosi personaggi che sembrano fare collezione dei manufatti magici? E qual è in realtà l'origine di tali manufatti?
Stufa delle attenzioni degli invadenti pretendenti, incurante e riottosa verso il suo “destino”, Arete progetta la fuga, quando arriva al castello uno stregone, avanzante anch'egli la richiesta di sposare la ragazza.
La richiesta di matrimonio si rivelerà un inganno, una scusa per rapire la ragazza e imprigionarla in un altro castello, un'altra torre.
Stavolta per la giovane sarà più difficile sfuggire, a causa di un sortilegio gettato dallo stregone.
Lo scoprire un modo per fuggire sarà l'occasione per Arete di comprendere il proprio posto nel mondo, e allo stesso tempo di rivelare il mistero dell'origine dello stregone e dell'antica civiltà a cui appartiene.

Il film è tratto dal romanzo del 1983 The clever princess di Diana Coles, che ebbe molto successo in Giappone, dove ne sarebbe apprezzata la vena femminista. Uso il condizionale perché ho cercato il romanzo, ma risulta esaurito da tempo e non sembra che sia mai stato tradotto in Italia. Ho però trovato riscontri in merito alla fama del romanzo in giappone a questo link.
La trama del film è cambiata in modo sostanziale da quella originale, soprattutto perché il regista Sunao Katabuchi, quando ha assunto la direzione del progetto, si sentiva a disagio nel raccontare una storia femminista da un punto di vista maschile, e quindi si è concentrato su temi più generali come l'individualismo, il rispetto , la diversità. Della trama originale rimangono quindi solo il tema della principessa nella torre inseguita da pretendenti, e il mago malvagio che la porta via.
La vicenda del film affronta diverse tematiche, partendo da una ambientazione apparentemente canonica della fantasy, per sfiorare la fantascienza apocalittica.
Arete nelle sue fughe ammira gli artigiani, capaci di forgiare il metallo e creare oggetti concreti, mentre i suoi cortigiani raccolgono manufatti magici, resti di una perduta civiltà, di cui sono incapaci di comprendere il funzionamento. Come accadrebbe se un televisore capitasse in mano a una ipotetica civiltà post-atomica.
Il tema ricorre nell'incontro di due personaggi, prima un misterioso mago e poi lo stregone che la rapisce. Sopravvissuti all'epoca delle macchine, la loro aspirazione è scoprire il segreto dei loro progenitori. Sono la dimostrazione che una conoscenza troppo avanzata è del tutto inutile senza la maturità per gestirla. La metafora è resa più esplicita quando si rivela che i due personaggi, immortali, in realtà sono rimasti dei veri e propri bambini.

La crescita di Arete è poi resa esplicita in modo visivo, mostrandola all'inizio come una bambina. Può suscitare sorpresa vederla oggetto di attenzioni sessuali, ma intanto c'è da ricordare che tuttora nel mondo esistono culture nelle quali le donne vengono promesse già in età prepuberale, se non da bambine.
Il primo passaggio di stato, dovuto alla magia dello stregone, la trasforma poi in una donna, facendole perdere però il gusto per la vita, e rendendola quasi rassegnata al suo ruolo di donna oggetto, di “principessa nella torre” cupa e malinconica, senza entusiasmo per la vita.
Nel caso di Arete però gli autori parteggiano evidentemente per lo stato bambinesco come ideale, visto che quando si libera dall'incantesimo riprende questa forma, come simbolo estremo di vivacità intellettuale.
Non è velato l'incitamento alla ribellione a qualsiasi condizione che non sia voluta. Una donna può accettare di essere una moglie, ma per la consapevolezza di volerlo, non per ruolo predestinato.

Dello Studio 4°C sono più conosciuti in occidente gli Animatrix, i cartoon inseriti nell'universo narrativo dei film dei fratelli Wachowski. Gli appassionati di animazione giapponese li conoscono anche per Tekkonkinkreet – Soli contro tutti, Mind Game, Spriggan, e le serie Memories e Genius Party.
Stilisticamente il film è più vicino alla poetica di Miyazaki, lontanissimo da opere digitali come Rapunzel della Pixar, o Shrek della Dreamworks, che però al film di Sunao Katabuchi sembrano debitori nella rottura degli stilemi della fiaba. Le sfumature di colore virano verso i pastelli, quando non verso il buio.
Da un punto di vista narrativo il film poi non vibra di azione, lasciando moltissimo della evoluzione della vicenda al dialogo. Non è un film dal ritmo veloce e in alcuni momenti si ha l'impressione che i 105 minuti siano tantissimi. In realtà forse il finale della storia, la parte in cui Arete è in missione per conto dello stregone Boax, sembra risolto troppo in fretta.
Pur tuttavia i meriti sono più dei demeriti. Il premio per la pazienza nel seguire il film è una serie di spunti di riflessione, che non lasciano lo spettatore per come lo ha trovato.

 

Riferimenti
Wikipedia
http://en.wikipedia.org/wiki/Princess_Arete

Sito ufficiale del film
http://www.arete.jp/arete

Il film su Imdb
http://www.imdb.com/title/tt0306474/

The Reception and the Adaptation of Diana Coles’ The Clever Princess in Japan
https://qir.kyushu-u.ac.jp/dspace/bitstream/2324/18365/1/p131.pdf

Il film in streaming (sottotitolato in italiano)
http://www.ptpfansub.com/ptp/ptp.php?page=streaming_video&video=13

Professione Assassino

Thriller - Titolo originale: The Mechanic - Interpreti: Jason Statham, Ben Foster, Donald Sutherland,  Tony Goldwin - Regia di Simon West - USA 2011 - Giudizio: 1/5

Arthur Bishop (Jason Statham) è un 'meccanico': un assassino scelto, con un codice molto severo ed un talento unico nell’eliminare in modo impeccabile ogni sua vittima. Il suo èun lavoro che richiede la massima perfezione oltre che un distacco totale e Bishop è il migliore nel suo campo. Ma quando il suo grande amico e mentore Harry (Donald Sutherland) viene assassinato, Bishop non può fare a meno di lasciarsi coinvolgere a livello personale. E così stavolta sarà lui a scegliere il suo successivo incarico: trovare i responsabili della morte del suo amico.La missione si fa più complicata quando Steve (Ben Foster), il figlio di Harry, gli rivela l’intenzione di vendicare da solo la morte del padre, determinato a scoprire quale sia stata lasua vera professione. Bishop ha sempre agito da solo, ma questa volta non può certo voltare le spalle al figlio di Harry. Nonostante sia sempre stato un killer estremamente metodico, decide di portare il ragazzo all’interno del suo mondo. Nasce così una sorta di rapportomentorediscepolo, ma mentre sono impegnati a dare la caccia al loro ultimo obiettivo, emergono una serie di complicazioni, per cui coloro che vengono assoldati per risolvere i problemi, diventano loro stessi un problema.

E' un discreto film d'azione questo remake di un classico del genere, risalente al 1972. A Hollywood ormai impazza la mania del rifacimento, forse dovuta a mancanza di buone idee originali. Non ho visto il film originale, e quindi non ho termini di paragone. Segnalo solo che questo film, visto da solo, si trascina abbastanza stancamente tra lunghe pause e momenti adrenalinici. Statham fa il suo onesto mestiere di duro inespressivo, impossibile pretendere qualcosa di più. Sprecato Donald Sutherland, mentre convincenti e in parte sia Ben Foster che Tony Goldwin.

Stunt e reparto tecnico hanno lavorato più che bene. E' un prodotto di serie A, in cui non si sono lesinati i mezzi. Peccato per la scelta dell'interprete. Non che Charles Bronson, interprete del film originale, sia passato alla storia per la vasta gamma di espressioni, ma Statham riesce a essere più monocorde di un filo da bucato.

Producono David Winkler e Bill Chartoff, ossia i figli dei produttori originali, Irwin Winkler e Robert Chartoff. Come già fu per Rocky Balboa, i rampolli non trovano di meglio da fare che ricalcare le orme dei padri senza metterci un guizzo di originalità. Quant'è dura la vita dei figli d'arte.

 

 

Solo per vendetta

Drammatico - Titolo Originale: Seeking Justice - Interpreti: Nicolas Cage, January Jones, Guy Pierce - Regia di Roger Donaldson - USA - 2011 - Giudizio: 3/5

 

Will Gerard (Nicolas Cage) è un insegnante d’inglese la cui vita viene sconvolta quando la moglie Laura (January Jones) viene violentemente aggredita senza un apparente motivo. Mentre osserva sua moglie nel letto d’ospedale, si avvicina Simon, un perfetto sconosciuto che propone a Will la possibilità di vendicare sua moglie. Potrebbe aspettare che la polizia trovi il colpevole, lo arresti e lo metta nella mani della giustizia. Oppure, potrebbe affidarsi a Simon e ai suoi ‘amici’ che troverebbero il colpevole e lo giustizierebbero entro l’alba del giorno dopo. Emotivamente provato, Will accetta l’offerta, ma scoprirà presto che ogni cosa ha un prezzo e che il conto da pagare sarà più che salato, ritrovandosi in una serie di eventi che lo porteranno a perdere totalmente il controllo della sua vita, scoprirà quanto potente e ramificata sia l'organizzazione.

Non è un tardo remake de Il giustiziere della notte, questo film il cui titolo originale rende meglio il senso stesso della vicenda. Seeking justice, ossia ricercando la giustizia, rende meglio la vicenda di un uomo che non prende semplicemente la pistola e comincia a sparare per rimediare al torto subito. Se le ragioni del marketing ve lo fanno passare per "il solito action con Nicolas Cage, sappiate che potreste rimanere delusi. Non perché Cage brilli, come sempre d'altra parte, per capacità e versatilità recitativa, ma perché il fuoco della vicenda è incentrato su cosa realmente significhi perseguire la giustizia "fai da te", in un paese dove comprare un'arma è fin troppo facile.

Non mancano vibranti sequenze di azione, e momenti di tensione, ma sono il giusto tributo all'intrattenimento cinematografico. Qualche riflessione il film la darà. Donaldson dirige con competenza il film bloccando sul nascere le gigionerie di Cage, e dando risalto alla bellezza e alla bravura di January Jones. Guy Pierce è tenebroso e tormentato quanto basta. La miscela funziona.

L'ambientazione è un'altra importante protagonista. E' New Orleans, con le sue ferite, la sua voglia di andare avanti, non una qualunque città statunitense. La crepuscolare fotografia di David Tattersall le rende piena giustizia.

 

 

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